TUTTO QUELLO CHE MANGIAMO, PRIMA ERA VIVO.

È tragico, ma inevitabile: gli esseri viventi possono sopravvivere solo nutrendosi di altri organismi viventi. Basandoci su questa incontestabile premessa (anche se ci sarà sempre qualcuno che si auto convince del contrario) possiamo cercare di comprendere il senso delle battaglie di tutte quelle organizzazioni impegnate nella difesa degli animali. Soprattutto va chiarito che il genere umano per sopravvivere deve mangiare e che allevare o coltivare sono gli unici modi che “sapiens” ha per nutrirsi. Soprattutto perché le esigenze riguardano miliardi di persone che morirebbero di fame se non ce ne fossero altre che ci pensano.

Torniamo alle organizzazioni che comunicano spesso sul tema degli allevamenti e del benessere animale e ne parlano come se il proprio obiettivo fosse quello di far chiudere un po’ alla volta gli allevamenti. Lo fanno criticando prima un aspetto, poi un altro, affermando che in quegli allevamenti accadono fatti gravi e chiedendo interventi sulla qualità della vita degli animali stessi. Affermano che il loro agire è orientato a stimolare interventi governativi sugli allevamenti affinché vengano approvate leggi che ne determinino attenzioni prestabilite (da loro).

Su questi temi seguo da tempo la questione avicola. E lì si concentra il mio interesse ad approfondire, sia perché è l’ambito dal quale, a livello mondiale, provengono fonti di nutrimento di qualità, a basso costo e “semplici” da organizzare rispetto ad altre, sia perché è un settore in cui la ricerca del benessere animale (chiesto a gran voce dalle associazioni animaliste e ambientaliste in genere) non solo è già presente, ma è addirittura esasperato. Ma a sentire i vari detrattori degli allevamenti non sarebbe così e anzi gli allevamenti sarebbero luoghi di sofferenza… e su questo presupposto chiedono quindi ai governi, alle aziende e alle persone comuni di considerare i loro documenti come “verità sugli allevamenti”.

Ricordiamo che gli animali allevati sono destinati direttamente o indirettamente a fornirci nutrimento. E come ogni altro alimento di cui ci nutriamo dobbiamo considerare un fatto, crudo ma inevitabile: quello che mangiamo, animale o vegetale che sia, prima di entrare nel nostro piatto era vivo.

Gli esseri viventi possono sopravvivere solo nutrendosi di altri organismi viventi, che erano vivi prima di diventare nutrimento per altri. Succede sia per gli animali che per i vegetali seppure in modi, forme e tempi diversi. Le cose da spiegare ai detrattori degli allevamenti sono semplici e chiare, ma dovrebbe verificarsi che le varie associazioni si mettessero all’ascolto dei veterinari addetti ai controlli e di tutti i vari operatori del settore.  Basterebbe dire che il benessere animale in avicoltura è un mantra legato alla necessità degli allevatori di poter contare su animali sani che altrimenti non potrebbero vendere. Il benessere animale è quindi per gli allevatori un obiettivo costantemente perseguito che si trasforma in una garanzia per i consumatori. Poi non si può negare che esistano i delinquenti. Ma si tratta di entità non codificate e quindi fuori controllo che popolano “i sottoscala” di ogni settore (purtroppo).

Il settore avicolo organizzato (attivo da circa 70 anni) da tempo ha responsabilmente avviato in autonomia percorsi con istituzioni, consumatori e tutti i soggetti della filiera, per migliorare costantemente il benessere degli animali, la qualità e la sicurezza dei prodotti alimentari e la sostenibilità dei processi produttivi. Chi si occupa di comunicazione queste cose dovrebbe saperle perché se le sapesse produrrebbe comunicazione degna di questo nome.

Pietro Greppi

ethic advisor e fondatore di Scarp de’ tenis

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

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