CI STUPISCE LA VIOLENZA?

ALLORA PARLIAMO CON GLI AUTORI TV

Ci stupisce sempre la violenza, non solo quella di genere. La violenza è purtroppo nelle notizie quotidiane e ci viene spontaneo interrogarci. E se riflettessimo senza ipocrisia sul perché sia così diffusa e come opporvi un freno? È forse questione di una forma di educazione che forma una cultura? Chi la trasmette? Con quali mezzi? Siamo pronti a riconoscere come entità formative anche strumenti che tendiamo invece a considerare solo come oggetti? Potremmo chiederci che tipo di incubi attraversano le menti di coloro che progettano serie televisive infarcite di violenza gratuita e ripetuta ossessivamente. Cosa rende così entusiasti i dirigenti di quelle reti, di quelle case di produzione e tutti coloro che prenotano gli spazi che la pubblicità occuperà all’interno di quelle produzioni dove protagoniste sono le armi e il loro uso continuo? Come si fa a non provare vergogna a lavorare con quegli obiettivi? Come si fa a non sentirsi complici del dilagare della violenza quando si è così coinvolti nella sua rappresentazione?

Qualcuno dirà che molte di queste “fiction” rappresentano fedelmente quanto avviene nei contesti cui queste serie “si ispirano”, … e quindi? È mai possibile che a nessuno venga in mente di riflettere sugli effetti collaterali che queste rappresentazioni hanno su menti fragili o disturbate? Possibile che nessuno si opponga, ragioni, o faccia ragionare chi gli sta intorno? Eppure non si tratta di produzioni realizzate di nascosto. C’è chi le pensa, le scrive, le approva, le produce, le interpreta … Gli attori, per esempio, fanno il loro mestiere e lo fanno perché è in quel modo che portano a casa i loro compensi, ma anche loro qualche domanda dovrebbero farsela. O no? Capita addirittura (sovente) che certe produzioni le importiamo da Paesi, come gli Stati Uniti, e in quei casi si tratta di acquisti fatti dalle stesse menti che però le avrebbero comprate, approvate, prodotte qui da noi se solo avessero le capacità e le risorse. Comprare cose già pronte è più comodo. Ma comprare quelle “cose”, riusciamo a capire che è sbagliato? Riusciamo a comprendere che, tanto per dirne una, i Paesi da cui acquistiamo quei contenuti vivono problemi causati proprio da quello che rappresentano e divulgano? Se davvero il nostro Paese ripudia la guerra (e i suoi succedanei aggiungerei), dovremmo essere molto attenti ai messaggi che divulghiamo. Perché ogni contenuto trasmesso in tv sappiamo che raggiunge milioni di persone, e chi si occupa di comunicazione e di contenuti in genere (pubblicitari inclusi) sa bene che questo può indurre qualcuno a far apprezzare quel contenuto. Esiste la possibilità, neppure tanto remota, che qualcuno lo viva come un modello da imitare. Dipende dal contenuto, dipende da come viene proposto e dipende anche da chi lo vede. I professionisti o gli “esperti” di produzioni televisive, di pubblicità, di comunicazione… riescono a percepire la differenza, neppure tanto sfumata, fra contenuti pericolosi e informazione? Ho forti dubbi in proposito. Chi lavora nei media, a qualunque livello, conosce i numeri e li sa “maneggiare”, ma non sa assolutamente nulla (non può) di ciò che accade nella mente di chi riceve certi messaggi. Tuttavia potrebbero immaginarlo, prevederlo, intuirlo. Ce l’avrà una famiglia di qualunque tipo! Sentirà le notizie che arrivano da ogni dove, che riportano atrocità compiute da persone che sterminano le proprie famiglie, usano violenze, si picchiano per un parcheggio, torturano animali, … Il nostro è un Paese dove è imperante l’ignoranza, la carenza di istruzione e formazione civile. L’ho già detto altre volte: la tv ha un potere enorme perché è presente in ogni casa e contribuisce anche involontariamente alla formazione della cultura di molte persone che si ispirano a ciò che vedono … e se vedono solo la tv … La violenza non dovrebbe trovar posto sui media e, quando anche fosse “necessario” o inevitabile, sarebbe allora opportuno integrare quel contenuto, quella trasmissione, con messaggi di denuncia di tali rappresentazioni o quantomeno un accompagnamento alla loro lettura e interpretazione.

Pietro Greppi

ethical advisor e fondatore di Scarp de tenis

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *