LADRI DI FOTOGRAFIE (parte prima)

Ho intervistato Guido Alberto Rossi, fotografo di fama ed esperienza internazionale che, incuriosito dal mio occuparmi dell’etica in comunicazione un giorno mi ha detto: “… ma dell’etica di quelli che rubano le foto non ne parli? Io potrei scriverne un libro!”. E da qui ne è uscito il racconto che riporto. Sarà solo il primo di una serie di suoi aneddoti e storie che, senza fare nomi, racconteranno “fatti realmente accaduti” soprattutto nel mondo della pubblicità che di etica avrebbe tanto bisogno … non solo per quanto riguarda l’uso delle foto.

“Pare che il primo furto di foto in Italia sia avvenuto negli anni Trenta. Non deve essere stato un gran caso perché nessuno lo ricorda con precisione e non ci sono tracce di sentenze nei tribunali, né verbali dei Regi Gendarmi. Poi però sono successe cose molto peggiori e se anche qualche foto è stata rubata nessuno ci fece caso. Con il passare dei decenni, l’aumentare delle pubblicazioni e delle fotografie in circolazione ci sono stati tanti casi, molti finiti in tribunale con alterne sentenze, perché la materia è difficile da giudicare per i non addetti ai lavori e anche perché la legge N°633 del 1941 sul diritto d’autore taglia corto sulla fotografia classificandola salomonicamente come: Foto semplice e foto artistica o creativa e qui ognuno (salvo l’autore) la pensa come meglio crede o gli fa comodo. Prima del web i ladri di foto avevano buone possibilità di farla franca, perché se al fotografo non capitava in mano il giornale o il depliant con la sua foto usata illecitamente -e ovviamente senza il dovuto compenso- nessun altro se ne accorgeva. Con il web è cambiato tutto, i furti di foto e di sequenze di girato sono aumentati a dismisura in lungo e in largo, dai blog ai giornali on-line e purtroppo anche nella pubblicità. Sono diventati così tanti che è nato il business dei “cacciatori di ladri di foto”. Varie sono ormai le società che “pettinano” costantemente il web con software basati sullo stesso principio usato per il confronto delle impronte digitali: riconoscono anche solo un particolare di tutte le foto che gli sono state affidate dal fotografo. Ovviamente i software non fanno distinzione tra foto lecite e illecite: ne fanno tuttavia una lista che poi il fotografo vaglierà. Una volta individuata l’immagine rubata, queste società si attivano per il recupero del giusto compenso, delle loro spese ed eventualmente anche le spese legali che si rendono necessarie quando il “ladrone” non vuole riconoscere la colpa ed il dovuto. Ma chi sono i ruba-foto? In buona parte sono “degli asini” che non conoscono le regole base del loro lavoro e sono convinti che tutto ciò che si trova con Google si possa scaricare, modificare ed usare a piacimento. Mi è capitato di incontrare uno di “questi personaggi” e non c’è stato verso di fargli capire che esiste il copyright e che -soprattutto oggi- ad usare foto illegalmente prima o poi si viene presi e alla fine si pagherà di più. Ma non c’è stato verso. Ho convinto un no-vax a farsi vaccinare, ma non sono riuscito a convincere un grafico dell’esistenza del copyright, neanche gli avessi parlato di religioni astrali. C’è anche però chi ruba sapendo che “non si deve fare”, ma convinto che il “crimine paga”. Beh! Forse un tempo era vero perché non c’erano gli strumenti di oggi per il controllo del web, ma la musica sta cambiando e questa categoria di cialtroni avrà la vita sempre più difficile. Comunque la si voglia mettere, alla base c’è la mancanza di rispetto per il lavoro altrui che, nel caso del fotografo, con la sua foto sostiene e giustifica buona parte del prodotto editoriale e pubblicitario. Oggi si trovano buone fotografie a prezzi modici e ottime fotografie a prezzi bassi, senza contare sconti e abbonamenti che le varie agenzie fotografiche offrono, ma che a mio modesto parere rispettano i fotografi nello stesso modo con cui le catene di hamburgher rispettano i vitelli. Fate finta di essere un fotografo (uomo o donna ovviamente): quello è il lavoro che vi da da vivere e per questo vi costruite un archivio di vostre foto da vendere e chi usa le vostre foto senza pagarvele è come se vi rubasse il portafoglio. Ovviamente è pieno di brave persone che chiedono il permesso e pagano il dovuto… ma ce n’è ancora troppe che ritengono che impedirgli di usare le vostre foto gratuitamente sia “ANTICOSTITUZIONALE” o giù di lì.”

Pietro Greppi

ethical advisor e fondatore di Scarp de tenisPer entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

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