I PERICOLI DEL PROFESSIONISMO

Anche il professionismo ha i suoi lati deboli, i cui effetti si riverberano proprio su chi al professionismo si affida come fonte di “risultati” supposti positivi. Si tratta degli effetti collaterali, lati nascosti di medaglie applicate per abitudine alla confortante pratica definita “professionale”. Per capirne i risvolti è necessario fare un passo di lato e osservare quindi la questione lateralmente, appunto, essendo pronti ad accettare che tutto è perfettibile ed esistono variabili da opporre alle costanti. I professionisti (mi si chiede di precisare “uomini e donne”, cosa che faccio volentieri solo in questa parentesi e da ritenere sempre valida perché, anche prima di queste “paturnie” del momento, mai ho considerato “il genere” come argomento differenziante se non per questioni puramente fisiche) i professionisti, dicevo, sono persone che conoscono bene la propria materia e la affrontano con particolare abilità e competenza. Diversamente da chi professionista non è, i professionisti sono aggiornati (almeno così ci si aspetta che sia) sulle questioni che riguardano le attese sulle loro competenze. Ciò consente loro di agire per i propri clienti in linea con quanto la società è pronta ad ascoltare, fare, assorbire, accogliere, accettare …

I professionisti rischiano però di essere anche “entità” omologate e omologanti. Anzi, non è che rischiano, sono proprio figure prevalentemente omologate che omologatrici diventano con la costante applicazione. Bravissimi, inconsapevoli e stimati omologati omologatori. Replicanti ammessi tramite votazione. Riproduttori di tecniche conosciute, riconosciute, approvate, previste, tramandate, replicate e assistite da istituti  specializzati a fissarne le regole in manuali e dispense varie. Ma proprio per questo, tutto questo rende i professionisti prevedibili. Al punto che a gran voce sono ritenuti utili, ma anche facilmente sostituibili, perché il sistema in cui hanno scelto di inserirsi, studiando quella determinata “materia”, li ha formati  come fossero il prodotto di un allevamento intensivo che prevede la riproduzione costante solo di certi “profili genetici” per consentirne il consumo di massa per una massa che ad un certo punto si nutre solo di quello, per paura di non saper digerire altro. Un “prodotto” ben assimilabile perché testato, gradito, uniforme, senza sorprese, garantito … “morto un Papa se ne fa un altro” si dice, ma sempre Papa resta per quella determinata religione. Per ogni professione (ogni) prevista dal nostro sistema, il sistema stesso sforna una certa quantità di modelli pronti all’uso e consumo. Un grande supermercato dove i prodotti -tutti sedicenti ottimi- differiscono in gran parte solo per il prezzo e l’etichetta della confezione, pur avendo medesimi ingredienti combinati con piccolissime varianti.

Chissà quando “il mercato” comincerà a cercare professionisti antisistema?! Chi sono costoro direte! È bene chiarire cosa intendo: il professionismo antisistema non è certo l’idea di affidarsi a cialtroni o a vuoti contestatori, bensì a chi certo conosce ciò che gli altri ritengono essere il suo mestiere, ma è anche costantemente alla ricerca di modificarlo per renderlo migliore, diverso, aperto all’elaborazione di stimoli nuovi che possano entrare osmoticamente nelle sue competenze per essere rielaborati, dando luogo a nuovi percorsi fino a quel momento non immaginati e magari stimolatori che possano riverberarsi nell’intero sistema.

Il professionista antisistema è quindi un libero pensatore, consapevole di esserlo, capace di osservare lateralmente ciò che altri vedono solo “da davanti”. È capace di vedere “altro” semplicemente perché guarda dove altri non guardano, pensando a cose che altri non pensano e osando dove altri non osano. È una figura che non usa dire “si è sempre fatto così”, e neppure “si fa così”. È certo anche imprevedibile perché non ha schemi da riprodurre, ma elabora costantemente “altro” rispetto al prevedibile e al “rodato”. È un appassionato della materia di cui si occupa, ma sempre alla ricerca di sfaccettature che le diano un motivo in più per essere interessante. È un innovatore. E spesso fa paura al sistema e a chi ne è schiavo.

Pietro Greppi

Ethical advisor e fondatore di Scarp de’ tenis

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

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