I nodi della cravatta

Il racconto si snoda agile e conciso come se la Signora che mi ospita nel salotto di rappresentanza del suo atelier lo avesse già fatto decine di volte.

Comodamente seduto sulla poltrona ricoperta di velluto un po’ frusto seguo agevolmente la storia dell’azienda di famiglia che produce cravatte osservando le decine di fotografie appese in cornice alle pareti della stanza. 

Per la maggior parte si tratta di foto-ritratti in bianco e nero con dedica autografa di uomini politici, attori, giornalisti e scrittori, tra i quali spiccano due ex presidenti della Repubblica e un premio Nobel per la letteratura.

La storia è simile a tante altre che descrivono la nascita, l’evoluzione e la probabile prossima estinzione delle microimprese manifatturiere sorte nel Nord Italia dopo la guerra. 

Tutto cominciò all’inizio degli anni Sessanta in questa zona al confine tra Lombardia ed Emilia dove la produzione artigianale di cravatte cucite a mano è da sempre molto diffusa e tantissime sono le persone del posto che conoscono bene un mestiere che richiede abilità, pazienza, senso estetico e precisione.

All’inizio era uno stanzone dove lavoravano la nonna con quattro cucitrici a tempo pieno e il figlio maggiore il quale si occupava delle scelte stilistiche, gestiva i rapporti con le seterie e i contatti con i negozi d’abbigliamento sparsi nelle grandi città del Nord e del Centro Italia. Il lavoro non mancava e la qualità dei prodotti che uscivano dall’atelier era tale che in poco tempo la “ditta” guadagnò notorietà e prestigio. 

La svolta che cambiò la storia avvenne una trentina d’anni dopo quando all’orizzonte culturale dell’impresa familiare apparve un termine fino allora ignorato: “Marketing”. Da quel momento fu chiaro a tutti che, con l’affermarsi delle regole di mercato sintetizzate con quel termine fascinoso, l’eccellenza manifatturiera dell’azienda artigianale non sarebbe stata più sufficiente a garantire, da sola, la competitività dei suoi prodotti.

Avremmo dovuto capire che l’unico modo per non venire emarginati sarebbe stato quello di investire sul nostro marchio, commenta la Signora. Si scelse invece la soluzione ritenuta più facile e sicura, consistente nel produrre quasi esclusivamente per un paio di grandi clienti, accettando le condizioni che le griffe famose impongono ai loro fornitori.

Oggi, quando mi capita di vedere un uomo che indossa una nostra cravatta, e penso che l’ha pagata una cifra trenta volte più alta del prezzo che viene riconosciuto a noi, mi prende il magone.

Quando la mia ospite mi chiede se ho qualche idea su cosa si dovrebbe fare per uscire dalla precarietà di quella situazione cerco di nascondere il mio scetticismo e rispondo che rifletteremo sul problema, che i nodi da sciogliere sono molti e che potremo rivederci non appena avremo qualcosa di serio da proporle. In cuor mio spero si riesca a trovare qualcosa di più brillante del solito “Si potrebbe cominciare con un sito Internet”. 

Bruno Zerbini

brunozerbini23@gmail.com  

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