Le gare, regole per i saggi

Prendo spunto dalle parole di Riccardo Robiglio e dalla sua brillante metafora a proposito delle gare (apparsa su Pubblico Today del 13 settembre 2012), che mi ha divertito e mi ha fatto fare alcune riflessioni. Parlando di gare, subito si apre la dicotomia tra quelle pubbliche e quelle private.

Le prime sono regolate dalla legge, attraverso il Codice degli Appalti, ed esse meritano un discorso a parte, che riserviamo ad altra occasione.

L’aspetto senz’altro più dolente è quello costituito dalle gare private, che sono la maggioranza e per le quali non esiste una regolamentazione specifica, al di fuori del divieto generale di portare a termine negozi contrari alla legge, all’ordine pubblico, alle norme imperative. Nel rispetto di tale principio generale, tutto è consentito.

Spesso non si svolgono neppure gare in senso tecnico, laddove manca un vero e proprio bando e i concorrenti non sono posti a confronto apertamente e in maniera competitiva.
In molti casi si tratta di “consultazioni plurime” (così le definisce il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale): a un certo numero di agenzie (che rimangono, però, in pectore, di tal che chi partecipa non sa chi siano gli altri concorrenti e quale sia il loro numero) viene chiesta una proposta.

I vari progetti vengono poi confrontati senza alcuna garanzia di parità di trattamento. Anzi, vi sono casi in cui manca addirittura un briefing comune e condiviso con tutti i partecipanti.

L’assenza di una normativa specifica consente a ciascun utente di esprimersi autonomamente e svolgere le gare a modo proprio. Certo, sarebbero auspicabili regole comuni, che gioverebbero alla trasparenza e potrebbero dare alle agenzie certezze procedurali e tempistiche adeguate.

Tuttavia, posso immaginare che difficilmente il legislatore interverrà in questo ambito, nel timore di violare il principio costituzionale della libertà di iniziativa privata.

Uno spazio potrebbero trovare, invece, regole comportamentali che gli operatori del settore volessero darsi, anche in ambito autodisciplinare, ma occorrerebbe che davvero tutti gli attori del comparto prendessero parte alla costituzione di tali regole e le condividessero. Indubbiamente questo sarebbe un grosso vantaggio sia per l’utente che deve indire una gara, sia per le agenzie partecipanti.

Se ben si guarda, in realtà, i principi non dovrebbero essere neppure numerosi: chiarezza di briefing, un timing rispettoso delle reciproche esigenze, una statuizione sulla proprietà della creatività e sui diritti di utilizzo non solo del materiale creativo dell’agenzia aggiudicataria, ma anche di quello relativo ai progetti non scelti; un rimborso spese che tenesse conto dello sforzo intellettuale, oltre che economico, dei partecipanti. Insomma, si tratterebbe semplicemente di codicizzare regole che corrispondono al rispetto reciproco dei ruoli e al buon senso.

Certamente, darsi un’autoregolamentazione può sembrare punitivo laddove le leggi statali non vincolano, ma la correttezza e la trasparenza pagano, come i quarantasei anni del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale insegnano.

L’auspicio è che, nel mare di problemi che affliggono questo duro momento storico, si trovi il tempo e la voglia di pensare a risolverne almeno uno, neppure molto difficile.
 

Fiammetta Malagoli

malagoli@studiolegalemalagoli.it

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