Alle belle statuine siete pronte? Sì!!!

Simone de Beauvoir diceva: “la cosa scandalosa dello scandalo è che ci si abitua”.

Di solito su un podio ci sono sempre i vincitori ovviamente. Ma sui podi motoristici e ciclistici c’è sempre però anche qualcun altro. Anzi a onor del vero andrebbe scritto “qualcun’altra”… cioè ragazze che hanno oggettivamente e “nel rispetto delle tradizioni” il compito di offrire, anche all’occhio la sua parte e di evocare antichi “premi”. Nella foto a corredo di questo articolo c’è l’esempio di un podio di motocross sponsorizzato da una bevanda. Al centro, l’uomo celebrato come un eroe. Intorno a lui, ragazze trattate come trofei o come elementi decorativi. È un’immagine già commentata anche da altri (nello specifico da Guillem Salles Turrel 🌱) da cui prendo spunto riproponendone in parte i commenti che condivido e per fare un approfondimento: gli sport motoristici, prevalentemente maschili, hanno una lunga “tradizione” di “grid girls”, “paddock girls” e “umbrella girls”. Chi sono? Presto detto: ragazze ipersessualizzate delegate a reggere ombrelli, cartelli che indicano il numero di piloti sulla griglia di partenza o semplicemente “guarnire” i podi. La Formula 1 ha abbandonato questa pratica nel 2018 (ieri praticamente). Ma esistono ancora in altri sport motoristici (moto, Nascar, ciclismo, ecc.). Alcuni siti degli sponsor di questi sport definiscono le “belle statuine” come elementi di forza della strategia commerciale del marchio per i loro eventi, dedicandogli sezioni speciali del sito web e sfruttandone le qualità estetiche come un’imbarazzante strategia di “contenuto” per video, gallerie fotografiche e schede personalizzate. Una forma di sessismo che si manifesta in alcuni casi anche con questionari con domande del tipo: “In spiaggia, quale bikini preferisci indossare?” o “Come fai a tenerti in forma?”. Situazioni imbarazzanti che non sembrano imbarazzare né le ragazze, né gli autori di questi ridicoli teatrini dove in ogni testo, immagine, video… queste ragazze sembrano esistere solo per essere “viste” (scrutate?) dal maschio spettatore lodante il vincitore e il suo contorno. Stereotipi di genere ancorati in un diffuso inconscio collettivo che alimenta, certamente insieme ad altri approcci colpevolmente superficiali (non chiedetemi in che percentuale, che ritengo tuttavia essere elevata), gli abusi di cui le donne sono vittime in una società sedicentemente “sviluppata” spesso solo dentro i pantaloni di certi satiri che popolano e ahimè condizionano trasversalmente le sorti di molti ambiti, non solo sportivi. C’è chi dirà che ognuno è libero di comportarsi come crede e che i miei commenti (e quelli di chi la pensa come me) sono quelli di un censore. Come sostenitore dell’etica spesso mi vedo costretto a denunciare la pochezza e l’insensibilità di coloro che fraintendono la libertà di espressione con l’esternazione irresponsabile. Quelli che fraintendono sono molti e questo ahimè li fa sentire branco. Il diffuso analfabetismo funzionale è certo corresponsabile di certi pensieri e comportamenti, ma qualcosa di più grave si è manifestato a supporto di questi pensieri e comportamenti. Mi riferisco a chi scientemente cavalca e sprona masse di ignavi orientandoli verso la distrazione usando giochi, o sfilate di aspiranti miss che non hanno evidentemente coscienza di quanto siano strumento in mano a satiri. C’è molto da discutere sullo stato della coscienza popolare. Ma per ora è sufficiente la frase con cui ho aperto e che ripeto volentieri: “la cosa scandalosa dello scandalo è che ci si abitua”.


Pietro Greppi

ethic advisor e fondatore di Scarp de’ tenis

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

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