Una professione scomoda: IL CRITICO PUBBLICITARIO

Assumersi il compito di consulente per la comunicazione etica ha aperto di fatto una nuova professione, utile sia a chi produce e trasmette contenuti, sia a chi li riceve. Avere capacità critiche significa soprattutto saper osservare, criticamente appunto, contenuti e scopi della comunicazione circolante, dedicando molto tempo e attenzioni proprio all’ambito pubblicitario, più che ad altri, in quanto la pubblicità ha un coefficiente di penetrazione elevatissimo, dato dalla sua natura economica che le consente di arrivare praticamente ovunque, in varie forme, ripetutamente. La necessità di osservarne gli effetti collaterali negativi, deriva proprio da queste sue caratteristiche di pervasività che, più o meno involontariamente, la trasformano in un potente ente formatore che incide molto più di quanto siano in grado di fare scuola, famiglia e relazioni. L’etica e la pubblicità infatti non sembrano essere neppure parenti (se non in rarissimi casi di trasparenza e onestà) ed è per questo che -da critico- cerco di proporre osservazioni circostanziate e motivate per contribuire a rendere etica e pubblicità meno estranee. Non è un intento facile, soprattutto perché, per criticare costruttivamente la pubblicità, devi avere un approccio derivante dall’aver fatto lo stesso percorso di chi stai per criticare, ma che si sia trasformato in una consapevolezza diversa … più responsabile. Quando si comunica c’è differenza fra l’essere responsabili o l’essere colpevoli. Si è colpevoli quando si mente, si è responsabili quando ci si fa carico delle conseguenze delle proprie decisioni. Il futuro delle imprese è sempre stato, e sempre sarà, legato alla loro capacità di comunicare prima ancora che alla qualità dei loro prodotti. Il loro sviluppo e il loro stare sul mercato, si basa però in modo stabile quasi unicamente sulla reputazione, su quella positiva ovviamente, e sulla loro capacità di mantenerla tale. Compriamo se ci fidiamo, se incontriamo promesse mantenute e se ci sentiamo trattati con rispetto e attenzione. Chi governa le aziende dovrebbe saperlo, ma succede che non se ne curi troppo o se ne dimentichi, e le ricadute negative di tali “colpevoli mancanze” prima o poi arrivano. Eppure basterebbe solo un po’ di attenzione e una costante autoformazione per mantenere la propria coscienza responsabile. Basterebbe adottare sempre comportamenti corretti e orientati all’auto-miglioramento, tenendo conto che la propria correttezza è solo uno degli aspetti del pensiero etico e che oggi per le imprese questa è diventata una necessità indispensabile, pena l’abbandono da parte del consumatore.

I comportamenti corretti, responsabili e attenti “all’altro” sono grandi portatori di benefici reciproci (chiamati win-win) e di benefici a lungo termine (la fidelizzazione). E non richiedono investimenti che non sia l’impegno individuale. Il pensiero etico, quando applicato, riduce gli sprechi, migliora l’utilizzo dell’intelligenza disponibile e aumenta l’efficacia delle azioni promosse. Induce anche nuove forme di approccio creativo per il fatto stesso di costringere a una costante verifica di correttezza del percorso. E questo avviene non solo nei processi tipicamente attinenti la comunicazione, ma anche nelle scelte generali dell’impresa e della gestione pubblica. L’etica adottata come strumento di crescita professionale, consente di crescere, vendere, fidelizzare e soprattutto formare una contagiosa cultura del rispetto, perché i successi durevoli sono anche la naturale conseguenza di un comportamento etico consapevole e riconosciuto. È quindi un atteggiamento mentale e culturale basato sulla consapevolezza individuale della responsabilità che ogni singola persona ha in relazione alle sue azioni. Tanto più se questa persona è un professionista e ha responsabilità pubbliche o che su di un pubblico si riversano. Chi si occupa di impresa, di pubblicità, di marketing, di politica … ha quindi sempre una grande responsabilità anche pubblica. Per questo faccio il critico e il consulente per la comunicazione etica. Eppure c’è ancora chi vede la mia professione come un fastidio e un impedimento ad un concetto curioso di libertà “creativa”.

Pietro Greppi

ethical advisor e fondatore di Scarp de tenis

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *