Ripartire al femminile

Con questo articolo di Francesca de Felice, prosegue “Ripartire al femminile”, serie di riflessioni dedicata all’approfondimento del dopo emergenza dal punto di vista delle donne. Ovvero quelle che, secondo molti, sono le grandi dimenticate dell’emergenza Covid, che in realtà le ha viste protagoniste assolute sul lavoro e sul fronte domestico.

Francesca de Felice, dottore commercialista, Napoli, Campania

“Ciao Francesca, ti telefono per sapere se possa farti piacere scrivere un articolo…”. Ascolto con interesse e non poca sorpresa, confesso, il mio interlocutore; chiedo dettagli e – forse quella dell’istinto – fa capolino nella mia testa una voce: ora la telefonata è a tre, accende il microfono e risponde entusiasta che certamente accetto la proposta anche perché, da viaggiatrice incallita quale sono, nulla può risultarmi più semplice che parlare, anche se metaforicamente, di una ripartenza. La telefonata procede e, parallelamente, anche il mio dialogo interno inizia il suo corso: in fondo, mi dico, il più delle volte si riparte perché si è già tornati da qualche dove; o, ad esempio, perché in quello stesso dove, la routine ci ha stancato e si ha bisogno di cambiare, anche solo per un po’; in questi ultimi due mesi, nessuno tuttavia, a mio avviso, si è fisicamente mosso se non per sbandare improvvisamente in una vita diversa, allargata in un apparente lento divenire, circoscritta nello spazio e con nuove incognite da decifrare nel futuro più prossimo. Con queste dimensioni, le donne per prime, hanno dovuto imparare misure alternative; a loro non è concesso fermarsi. Anch’io, in fondo, non mi sono fermata; ma gioco facile, non ho figli da accudire e ho un lavoro racchiuso in un portatile. E quindi scrivo di cosa e in modo credibile? Certo, se mi guardo intorno, non sono Linda, moglie, madre e imprenditrice con il ristorante a conduzione familiare e dieci dipendenti; non sono Sara, giovanissima artigiana col suo centro estetico in cui ha investito da poco tutti i risparmi; non sono Fiorenza, notaio, tre figlie, un marito, due studi con due dipendenti in due città diverse; non sono Elena, separata con una figlia, casa in fitto e un lavoro in nero; non sono Cristiana, il lavoro in banca, due figli, il marito e l’amministrazione dell’azienda di famiglia nel tempo libero; non sono Clara, cameriera in nero in un pub, separata, a casa con i suoi genitori, due bimbe di cui una autistica; non sono Roberta, nutrizionista, un marito medico in un ospedale Covid, due figli. Le ho ascoltate tutte e a lungo, da amica; poche volte si sono abbandonate a momenti di lecito sconforto. Resilienza genetica? Innato stoicismo? Non lo so. Le guardo e mi sembrano tutte come sempre; in questi ultimi due mesi, hanno anche studiato e letto tanto, chi di nuovo, chi mai come prima; con il piglio di chi è destinato ad essere sempre pronto, hanno avuto fame di conoscenza, di cercare ed imparare parole e modi nuovi e alternativi per comunicare con i figli, con i dipendenti, con i clienti per far comprendere che il distanziamento c’è e ci sarà: ma fisico, non sociale.

“A proposito dell’articolo, ma quante battute ho?”.

Francesca de Felice

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