ANCHE IL VUOTO SI RICICLA

Certa pubblicità produce effetti collaterali dannosi dal punto di vista sociale: esistono le prove.

Una di queste è la pubblicità stessa. Quella di questi anni in particolar modo. Non tutta ovviamente, ma molta, troppa perché non sia classificabile come l’effetto collaterale di sé stessa. Ma è sempre il caso di chiarire che la questione che sollevo (da tempo) non è rivolta contro “la pubblicità”, ma contro chi la pubblicità la pensa e la produce senza riflettere troppo seriamente né sulle conseguenze, né sulle responsabilità sociali che la professione del comunicatore comportano. La critica va soprattutto alle aziende che licenziano certe campagne anziché chi gliele propone, non fosse altro che per tutelare sé stesse sul piano della reputazione e della credibilità. Ma anche le agenzie (anche le più quotate) sembrano essere raramente attraversate da senso di responsabilità per i contenuti che producono, adducendo alla bisogna la scusa che “se è il cliente che ce lo chiede …” o “ma il cliente l’ha approvata e i soldi sono suoi”. Riflettete aziende! È evidente (almeno a me) che sia necessaria una presa di coscienza generale.

Da dove potremmo partire? Dal passato … per cercare di capire cosa sia successo al nostro Paese e individuare il punto, il momento in cui – in ogni settore – si è “rotto” qualcosa. Perché non c’è dubbio che quel momento ci sia stato. Anche nella pubblicità. E non è questione di pensare positivo … magari bastasse!  Sono almeno 20 anni che il cambio generazionale nelle aziende ha dato luogo a diffusi sovvertimenti deleteri e a danni che sarà complicato riparare. Soprattutto quando il cambio generazionale ha riguardato gli assetti familiari delle industrie italiane che hanno passato il testimone a figli che, anziché guardare il modello concreto, serio e visionario da cui erano generati, hanno cominciato a rivolgere lo sguardo verso modelli artificiali e a visioni a corto raggio. Non tutti certo. Ma l’idea che i giovani siano il futuro è vuota retorica politica e non porta a nulla di concreto se non alla legittimazione dell’idea che i giovani siano solo “da seguire” a prescindere. Dipende però in che senso! Perché siamo tutti giovani per un periodo. Ma quello che poi fa la differenza è ciò che, da giovani, ci attraversa la mente, gli occhi, il cuore … perché inciderà su quanto saremo in grado di pensare, sentire e realizzare.

Ci sono persone di tutte le età che vivono in un vuoto pneumatico sul piano culturale. Piano di cui il mondo della pubblicità è punto nevralgico e sottovalutato, perché ha inciso e continua a incidere sul modo di pensare e sulle scelte che vengono fatte acriticamente da una larga parte di persone. Se attingi al vuoto, produci vuoto che diventa pneumatico e che ahimè entra in circolo e si ricicla apparendo contenuto di un qualche valore. A questo proposito, per descrivere cosa sia successo al nostro sistema, mi è d’aiuto lo scritto di un collega, (Fabio Palombo) apparso su di un social poco tempo fa. Fa sempre piacere (e dispiace contemporaneamente) trovare persone concordare sul giudizio critico a un ambiente che frequenti da anni. L’osservazione, che riporterò fra virgolette, ricalca in pieno quanto segnalo anch’io da tempo nei miei scritti e nei miei incontri professionali. Ho il suo consenso per pubblicarla e allora eccola: “… conosco pubblicitari, e più sono giovani più ne conosco, che per fare pubblicità, si ispirano quasi esclusivamente ad altra pubblicità. E prima di iniziare a lavorare, l’hanno pure studiata seriamente, e a caro prezzo, la pubblicità. Quando poi finalmente escono dalle agenzie, quando li fanno uscire, succede che frequentino perlopiù persone come loro, in posti dove gente come loro si ritrova per parlare il più delle volte di loro stessi. È un circolo vizioso, che ogni anno si chiude sempre di più, escludendo l’unica fonte d’ispirazione possibile per un mestiere come il nostro: la vita che c’è là fuori. Perché – potrà sembrare strano a qualcuno – le shortlist di Cannes, con la vita, non hanno quasi mai nulla a che fare.”

Pietro Greppi

ethical advisor e fondatore di Scarp de tenis

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

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