PROFIT, MA SOCIALE

Ultimamente sono numerose le campagne di stampo sociale che vengono sostenute da aziende profit. Mi sembra una bellissima notizia. E se questa è una nuova tendenza, ben venga ovviamente. Non è mai troppo tardi. Ma vorrei fornire un contributo interpretativo al fine di incentivare tale interesse. Lo stimolo a questa riflessione deriva direttamente dalla recente esperienza fatta in occasione della mia presenza al Premio San Bernardino a Roma. Ho notato che istintivamente, nella disamina delle campagne in lista, gli organizzatori hanno considerato e catalogato come campagne profit anche quelle realizzate da aziende profit per cause di tipo sociale e comunque a favore di un istituto sociale. L’ho trovata una lettura imprecisa, dovuta probabilmente a quelle pratiche comuni e diffuse che non hanno mai agevolato la comprensione delle connessioni possibili fra profit e non profit, ostacolando quindi anche le potenzialità che il connubio fra queste diverse entità possono sviluppare. C’è un difetto all’origine, oserei dire culturale, che porta a pensare a ciò che viene considerato “sociale” come fosse l’opposto di profitto se non addirittura di questo un nemico, e a ritenere il profitto come un percorso con un fine dichiarato prestabilito, ma rigido, che esclude attività “pro non profit”. Il modo classico e sclerotizzato di concepire le azioni che il profit può mettere in atto per ottenere consensi e tutto quel che ne consegue è, oltre che sbagliato, anche controproducente perché esclude occasioni di crescita per entrambi gli ambiti. È proprio la classificazione, e quindi il punto di osservazione che si è avuto fino ad oggi, che denuncia il motivo per cui profit e non profit hanno sempre fatto molta fatica a sposarsi. Eppure certi matrimoni dovrebbero farsi invece molto più spesso. È infatti sbagliata l’idea che il profit debba o possa agire nel sociale/non profit solo per convenienza, da cui deriva l’altra erronea considerazione che quando un’azienda profit agisce in quel contesto lo si classifica positivo, ma lo si considera sempre come un atto orientato unicamente al profitto. Ciò è solo in parte -e non sempre- vero: dipende dalla costruzione della campagna e quindi da chi ne studia i princìpi. Perché il profit, quando si spende per il sociale, il beneficio lo ricava comunque, come ritorno d’immagine e reputazione, solo che li ottiene realizzando “fatti” che restano e lasciano un segno positivo nella società in cui comunque si trova ad agire e che per questo gli sarà molto più riconoscente (fedele) che non per la produzione di pupazzetti. È quindi scorretto e fuorviante qualificare come profit una campagna condotta da un’azienda profit se il soggetto della campagna è un’azione, una sensibilizzazione, un progetto sociale, non condizionati o subordinati ad azioni commerciali. È una differenza non da poco e da sottolineare. Se la tua azienda sostiene una causa sociale e la firma, ma non pone condizionamenti, allora chi beneficia di quella campagna è l’ente non profit (che altrimenti non avrebbe avuto risorse per fare e ricevere altrettanto), ma certo anche la tua azienda che, firmando quel gesto, qualifica però sé stessa al cospetto del pubblico come esempio che anche altri potranno imitare. Quest’ultima è una conseguenza inevitabile e impagabile soprattutto per tutti coloro che cercano costantemente di qualificare la propria reputazione. Se riusciamo a correggere in questo senso la percezione di cosa sia, come va fatto e a cosa serva il matrimonio fra profit e non profit, si riuscirà anche a mettere un po’ d’ordine e a comprendere quello che personalmente sostengo e promuovo da sempre: il profit con le proprie risorse e il non profit con i propri contenuti di valore, insieme possono dar vita ad una comunicazione sociale efficace e utile reciprocamente, spendendo meno e riqualificando la funzione comunicativa di entrambi. Non solo: il muoversi in simbiosi di queste due realtà può determinare una convivenza sociale più sostenibile, creare consapevolezze sopite e innescare competizioni “a chi riesce a fare meglio e di più cose intelligenti e utili”. Non solo a Natale. A proposito: Buon Natale.            

Pietro Greppi

Ethical advisor e fondatore di Scarp de’ tenis

Fondatore del Laboratorio per la realizzazione del Linguaggio universale non verbale

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

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