LA PUBBLICITÀ È ORMAI INCREDIBILE …

… ma proprio incredibile nel senso indicato per primo nei dizionari. E cioè “non credibile, che non si può credere, improbabile, assurda, inammissibile, inattendibile, inconcepibile, inverosimile …”. È il costante parto di un ambiente che si prende troppo sul serio, totalmente autoreferenziale, produttore di contenuti che via via contenuti hanno smesso di esserlo. Ci sono certo alcune eccezioni (che è una frase che si dice sempre, per smorzare la ruvidità di un’affermazione e per consentire a qualcuno di identificarsi in quell’eccezione), ma tolte le mosche bianche -che troppo spesso tornano in fretta ad essere parte del tutto- va detto che l’ubiquità e la sfacciata opulenza sprecona non riescono più ormai a dare alla pubblicità la credibilità che cerca a suon di passaggi. Mi rivolgo all’intero settore e alle aziende che chiedono di crescere, ma poi fan mostra di sé con siparietti idioti. E gli chiedo di tornare coi piedi in terra per costruire percorsi capaci di far diventare le persone (e quindi le aziende) per cui lavorate, degne di essere considerate utili sul piano sociale prima che commerciale. Fatevene una ragione, anche se avete “vinto dei premi”, e siate onesti intellettualmente. Sarà mica comunicazione utile quella che passa nelle “pause pubblicitarie”! Saranno mica siparietti che meritano premi quei 30 secondi pseudo poetici, raffiguranti gesta ritrite, frasi fatte, richiami a sentimenti alti per vendere un biscotto, etc. etc.?! Ne siete forse voi gli autori? Rifletteteci. È forse opera di vostri colleghi? Parlategliene e discutetene con osservatori esterni non deviati dalla vostra stessa professione. Davvero le aziende committenti ne sono soddisfatte? Allora forse è per quello che continuano a indire gare senza rimborso cambiando agenzia e “strategia comunicativa” ogni tre per due. Sembrano battute acide, ma nei fatti quello che si riscontra oggettivamente è una sterile occupazione di spazi sui media. Un’occupazione “studiata” e pagata profumatamente per interrompere sempre più spesso, e quindi anche fastidiosamente, interessanti programmi, per non dire nulla di così importante, né intelligente e neppure divertente da giustificare l’interruzione. Il nulla e il vuoto abbelliti e amplificati dai tanti professionisti dell’uso delle tecnologie digitali che popolano il comparto. Ma essere tecnicamente preparati a gestire dei pixel, delle luci, dei software … non dona automaticamente la capacità di costruire contenuti sensati e soprattutto utili. Ed è un peccato osservare che le agenzie molto poco fanno per correggere il tiro. Economicamente conviene continuare a far galleggiare alla meglio il Titanic, riempiendolo d’aria e riparando le falle con delle toppe, piuttosto che ripensare nuovi percorsi di contenuto per aiutare le aziende a diventare credibili e sostenibili indipendentemente dalle mode del momento. Sarà mica una comunicazione utile e di cui andare fieri parlare di sconti tramite testimonial super pagati per dire cose in cui è difficile possano credere o dalle quali possano essere attirati loro stessi … Dilagano battute e atteggiamenti triviali e spesso anche riferimenti offensivi a categorie e generi. I sentimenti vengono citati a sproposito mentre si parla di insetticidi e merendine. Abbondano i messaggi rivolti a raccogliere fondi per questa o quella organizzazione non profit di cui mai si è sentito parlare prima, ma per le quali si utilizzano voci di doppiatori che  prestano la voce ad attori famosi, con il becero intento manipolatorio di far credere che sia l’attore a parlare. Campagne centrate su numeri da chiamare che prendono il sopravvento sulla motivazione per cui si dovrebbe telefonare “sulla fiducia”, senza oltretutto dar modo di conoscere quanto della donazione andrà “alla causa” e quanto alla compagnia telefonica. Senza parlare poi della mancanza assoluta di trasparenza sull’uso che verrà fatto della somma raccolta.

Troppo peso si è dato negli anni a quel modo di trasmettere informazioni, codificato secondo le logiche teoriche che tutti conosciamo e che chiamiamo sinteticamente “pubblicità”. Ma cambierà. Uh, se cambierà!

Pietro Greppi

ethical advisor e fondatore di Scarp de tenis

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

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