INFLUENCER O TESTIMONIAL? CAMBIA POCO.

Come tutte le cose finte, anche gli influencer vanno “presi con le pinze”… Perché? Perché agiscono consapevolmente sulla credulità di tutte quelle persone, purtroppo molte, che non riescono a percepire l’inganno a volte palese, ma più spesso sottile, con cui costoro si mostrano sorridenti, positivi, entusiasti per un prodotto, in ogni circostanza e senza motivo alcuno che non sia la loro consapevolezza di farlo a pagamento. È sconcertante che le aziende continuino ad utilizzare questi personaggi. E, nello sconcerto, non rassicura neppure che questo loro impiego sia giustificato dal seguito commerciale che ne consegue. C’è infatti da chiedersi quale sia il livello culturale in cui si trova il nostro Paese se “alle persone”, basta il suggerimento di un individuo “noto per esser noto” per influenzare una loro scelta. È un fenomeno che si sviluppa anche grazie ai social che, se da un lato concedono ampia libertà di espressione, dall’altra producono ansia, depressione e paura di essere tagliati fuori in coloro che ne subiscono eccessivamente il fascino. Chi utilizza i social per scopi commerciali fa infatti un uso evidente di psicologia spicciola in un periodo in cui dovrebbe prevalere la necessità di serietà, impegno e rispetto per poter intervenire su una crescita generale intesa in un senso ampio di valori. Invece dilaga il ricorso a stratagemmi orientati a carpire la buona fede del pubblico o, più spesso, ad approfittare di un’ignoranza diffusa per piazzare qualche prodotto di dubbia utilità o addirittura pericoloso sul piano sociale, come le scommesse, i Casinò online e le lotterie varie.

Ci sono certo le eccezioni, ma sono rare.

Fare l’influencer, letteralmente influenzatore (ma per gli italiani in inglese fa più scena), oggi è considerata una professione basata sulla “laurea in notorietà” (n.d.r.) … acquisita o comprata. Non importa il motivo per cui sei noto. E neppure il metodo con cui lo sei diventato. Basta avere un seguito, anche solo un certo numero di visualizzazioni su un social. Non importa se chi ti segue è un derelitto o uno scienziato. Basta che tu abbia tanti like e le aziende, soprattutto quelle quotate in Borsa (!), ti fanno la corte. Niente di nuovo però, perché anche i testimonial, come gli influencer, prestano a pagamento la loro popolarità … solo che lo fanno in un contesto dichiarato e più palese. Ma in entrambi i casi siamo comunque davanti a “persone che in molti hanno già visto da qualche parte” e alle quali, per questo, le aziende affidano il destino della vendita dei loro prodotti. Basterebbe per togliere la fiducia alle aziende che lo fanno.

L’ammiccare di un George attore dovrebbe convincere, chi lo guarda, che il suo suggerimento sia disinteressato e degno di fiducia. Lo stesso dovrebbe accadere quando ad ammiccare sui social è un individuo, conoscitore dei meccanismi della rete, del quale ti dovresti fidare perché ha molti follower. Non vi sembra l’irrazionalità fatta sistema? Eppure.

Commenti a parte, quando parliamo di persone in grado di influenzare qualcuno, credo che valga la pena riflettere. Scegliere per cosa si intende essere un influenzatore può avere motivazioni economiche o di principio … Essere scelti come influenzatori solo per la propria visibilità, slegata dalle competenze, può diventare invece una forma di colpevole alleanza per costituire un falso in atto pubblico, tanto quanto accade con i testimonial nel settore più classico della pubblicità.

Insomma: un conto è chiedere ad un architetto di esprimere il proprio giudizio su un progetto di architettura in base alla sua esperienza, un altro sarebbe invece chiederlo a Gerry Scotti solo perché è seguito da molti ed è simpatico. Ultimamente purtroppo si sta affermando il secondo modello, dove proliferano dei pacifici mercenari, colpevoli però dell’affermarsi di pericolosi modelli artificiali. Influencer o testimonial cambia poco.

 

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