L’’alba sul pianeta delle scimmie

In risposta al commento di Carlo Simonetti apparso su Pubblico Today del 7/11/12, relativo all’’articolo ’“Progettare l’’antinebbia’” di Bruno Zerbini (29/10/12), pubblichiamo un nuovo intervento di quest’’ultimo.

Ho letto su Pubblico Today, mercoledì 7 novembre, che Carlo Simonetti da Torino non condivide la riflessione che ho cercato di sviluppare sul tema della crisi delle medie e piccole imprese di pubblicità, pubblicata la settimana scorsa.

La cosa in sè è del tutto legittima, anzi: manifestare il proprio disaccordo è un diritto che va riconosciuto a tutti, anche quando questo diritto viene esercitato in modo non proprio corretto, lasciandosi prendere la mano da una vis polemica non giustificabile dall’’argomento e dall’’occasione. 

Comunque, per quanto mi riguarda la cosa poteva anche finire qui: Simonetti non è d’’accordo con il mio ragionamento, io ne prendo atto e amici come prima. Purtroppo Simonetti ha ritenuto opportuno motivare le ragioni del suo dissenso e si è esibito in uno spericolato esercizio di retorica futurista.

Scive Simonetti: ’“Indietro non si torna! Il settore della comunicazione non è in crisi, sta vivendo un momento esaltante: gli strumenti si sono moltiplicati e ci offrono funzioni e possibilità strabilianti.

Se prima avevamo a disposizione tanti mezzi di comunicazione quante sono le dita di una mano, oggi non bastano più nemmeno i piedi a tenere il conto. Chi oggi vede buio totale dovrebbe regolare l’’orologio: è l’’alba, non il tramonto’”. 

Ora, cosa ci sia di esaltante in una contingenza in cui molte agenzie di pubblicità sono costrette a chiudere i battenti per carenza di lavoro non lo capisco proprio. Capisco ancora meno il motivo per cui i Professionisti della pubblicità (Simonetti li chiama ’“Cavalieri Templari della comunicazione rimasti a fare la guardia a non si sa bene quale Graal’”), quelli che non ritengono di vivere nel Paese di Bengodi, dovrebbero rinunciare alla ricerca delle coordinate per uscire dal tunnel che li opprime.

La soluzione prefabbricata da Simonetti, quella che propone di ’“lasciare spazio ai piccoli creativi (sic) con piercing e felpe col cappuccio che vivono davanti al monitor ascoltando musica improbabile’”, mi sembra perlomeno superficiale.

Soprattutto se questa strategia di uscita dalla crisi si basa sul presupposto di mandare alla rottamazione tutti quelli che lui definisce ’“i nostalgici di Carosello’”, coloro ’– riporto le parole di Simonetti’– ’“pubblicitari e creativi, che non sono più i depositari di un sapere sconosciuto e misterioso al confine tra letteratura, pittura, psicologia, marketing e arte tipografica’”.

Confesso una certa difficoltà a seguire i virtuosismi dialettici di Simonetti, soprattutto quando, per dimostrare la superiorità della sua idea di futuro fondata sul primato della tecnologia, si esibisce in una carrellata di esempi che sconfina nel cosiddetto umorismo involontario.

’“Ho sentito impiegate amministrative discutere di font e impaginazione con una competenza da fare impallidire un linotipista’”, testimonia Simonetti, e aggiunge: ’“Ci sono responsabili marketing che fanno foto splendide con Instagram e postano ottimi film delle vacanze su YouTube’”.

Secondo la logica simonettiana la disponibilità diffusa delle nuove tecnologie, che consente anche ad un gorilla di usare il computer per dipingere graziosi fiorellini, giustificherebbe la pretesa di chi, ai Professionisti della pubblicità, vorrebbe chiedere sempre di più pagando sempre di meno.

’“È normale, è giusto che sia così’” è la sua conclusione. Ma qui casca l’’asino! Direbbe il principe Antonio de Curtis. E casca perché, involontariamente e dopo tanti sforzi per dimostrare il contrario, il buon Simonetti finisce col darmi ragione.

Nel mio articolo, infatti, sostenevo che una delle cause della crisi che investe il nostro comparto deriva dall’’idea che, oggi, si tende a mettere sullo stesso piano i mezzi e i risultati: se cresce il numero dei primi aumentano anche i secondi.

Questo potrebbe essere vero quando si tratta di produrre in serie le mensole dell’’Ikea, o (come accennavo nell’’articolo) per impaginare i volantoni dei supermercati, ma quando si tratta di affermare l’’immagine di un prodotto o di una azienda non è detto che comprare l’’ultima edizione della Creative Suite di Adobe e darla in mano al più poliedrico dei product manager sia sufficiente per ottenere i migliori risultati.

Ovviamente non ho nulla di personale contro Simonetti e chi la pensa come lui, il mio ragionamento era rivolto prioritariamente a quanti non amerebbero svegliarsi una delle prossime mattine ed assistere ad una radiosa alba sul ’“Pianeta delle scimmie’”.
Se mi è concesso vorrei concludere con un messaggio personale al Simonetti da Torino.

Caro Carlo, nei primi anni Ottanta, quando incontrasti i Pantone per la prima volta, nella mia agenzia i creativi smanettavano sui Commodore 64 facendosi da soli il software programmando in Basic.

E quando, nel Novantanove, iniziavi l’’attività in proprio, noi uscivamo con la campagna di Pubblicità Progresso a favore dell’’alfabetizzazione informatica e dello studio dell’’inglese. A proposito di bruchi e di farfalle.

Bruno Zerbini

bruno@brunozerbini.com
 

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