A PROPOSITO DEI BLACK FRIDAY…

Se sei un advisor per l’etica nella professione della comunicazione, non puoi che arrivare a criticare modelli di “comunicazione” e comportamenti commerciali come quelli che si palesano con il “Black Friday” e simili. Per evitare il rischio di esser fraintesi sul significato di questa premessa, proviamo a spiegarlo. Chi ha un negozio ha bisogno di vendere. Chi ha un’azienda produttrice di un qualunque bene materiale e immateriale anche. La questione va ora spostata sul sociale, sul civile e nell’importanza di diffondere e far acquisire coscienza sull’utilità di quanto si produce, si vende e si compra. E non di meno sulle ricadute sociali di ognuno di questi comportamenti. Chi si incarica di questo impegno? Come può essere condotto e divulgato? Come riuscire a incidere su quelle abitudini irrazionali che portano le persone a non rendersi nemmeno conto che aderire alle costanti pulsioni di acquisto, allontana da sé? Le persone, in generale, si sono formate ahimè in un sistema che ha perfezionato e “raffinato” la filiera produttore/consumatore usando le tecniche della comunicazione e dell’adv in generale… con l’effetto inevitabile di aver prodotto menti allenate a considerare l’acquisto come pulsione costante, riuscendo anche a trasmettere, come effetto collaterale, l’idea che comprare sia una necessità che determina addirittura distinzione sociale, cosa che in alcuni individui ha anche effetto terapeutico, lenitivo, calmante. Da tempo, nel settore della psicanalisi che studia cause ed effetti, si è arrivati a coniare il nome di una patologia che si è venuta a creare a scapito delle persone più fragili e permeabili a certi stimoli. Questa patologia è identificata con un acronimo: FOMO (Fear Of Missing Out), una forma di ansia sociale generatasi nella società del “consumo ad ogni costo” e comunque dal desiderio di far parte di un gruppo per sentirsi accettati, che induce ad una sorta di “paura di essere tagliati fuori” da quello che si vede fare da una massa di individui. Per esempio: “Una sindrome connessa alla FOMO è la cosiddetta No.Mo.Fobia o nomophobia (in italiano nomofobia). L’acronimo sta per “No mobile (phone) Fobia” e indica la paura di rimanere con uno smartphone privo di connessione, quindi di rimanere isolati dal mondo e dai social… (wikipedia)”. Che il termine sia stato coniato in inglese fa intuire quanto questo effettivo problema sociale sia diffuso a livello internazionale. Tutto questo è all’origine della de-professionalizzazione, della perdita delle capacità individuali di produrre e coltivare, del pensiero unico, della perdita dello spirito critico, della dipendenza dal sistema industriale e della globalizzazione appiattente che se è un beneficio in alcuni campi, non lo è affatto se applicata come modello universale. Si producono troppe cose inutili e non si sviluppano servizi essenziali. Si consolida l’idea guicciardiniana del “proprio particulare”, dell’egoismo, dell’indifferenza, quando non anche la spocchia arrogante e presuntuosa di chi si erge paladino di uno sviluppo incentrato sullo studio di metodi per illudere le persone che essere corrisponde all’avere, mascherando abilmente il fatto che, indurre la smania di avere, soffoca quella dell’essere. I vari black friday, non hanno nulla di interessante da replicare se non appunto l’idea di chi pensa di dover alimentare il consumo per il consumo fine a se stesso. Sono altri i modelli che andrebbero imitati e altre le istanze da ascoltare. Quello di oggi è un sistema che ha corrotto le menti istruendo intere generazioni e decine di professioni a replicarlo e a perfezionarlo unicamente per tenerlo in vita così com’è. E ora anche in lingua inglese, a testimonianza della colonizzazione in atto da decenni, a cui pare che pochi siano in grado di opporsi tra i molti che neppure se ne rendono conto. Senza parlare del degrado mentale che tale omologazione di pensiero rivolto al comprare, comprare, comprare… ha prodotto conseguentemente effetti deleteri nella capacità di produrre contenuti degni di tale nome. Per rendersi conto della follia collettiva che certi riti commerciali alimentano, basta osservare l’oggettiva deriva invadente dei contenuti degli spot di questi giorni, tutti appiattiti su questo fantomatico black friday. Un messaggio unico che (come tutti i “momenti promozionali”) ci giunge come un dato di fatto che dovremmo imparare a leggere così: “chi ha comprato qualcosa fino a ieri è stato un fesso, perché oggi e per i prossimi X giorni lo avrebbe pagato molto meno”. E questo inganno si ripete con frequenza impressionante, periodicamente, in ognuno degli eventi commerciali che si inventano certi “strateghi” del marketing… discipline che emanano un discutibile fascino solo perché ammantate di britannico suono. E se facessimo tutti come fece Ulisse per difendersi dalle Sirene?

Pietro Greppi

ethic advisor e fondatore di Scarp de tenis

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

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