CI VOLEVA UN VIRUS PER FARCI RIFLETTERE?

Quando ti abitui ad una cosa, poi non ti accorgi più che ci sei abituato, almeno fino a quando qualcosa o qualcuno ti costringe a cambiare la tua abitudine. E allora possono essere drammi. C’è poi una frase di Jean Jacques Rousseau nel suo “Discorso sull’economia politica” che sembra quasi una “medicina” per diventare virtuosi. Una pillola i cui ingredienti indicano la chiave del cambiamento necessario alla nostra società per ritrovare il senso della convivenza civile: “Che cosa bisogna fare dunque per indurre gli uomini alla virtù? Insegnare loro a trovarla bella e a stimare quelli che la praticano. Un vantaggio molto considerevole, per uno Stato così costituito, è che i male intenzionati non vi hanno alcun potere per realizzare i loro oscuri intrichi e che il vizio non vi può fare in nessun modo fortuna …” E stiamo vedendo che per capire e seguire queste indicazioni ci voleva un virus.

Era meglio ci fossimo arrivati in modo diverso, ma almeno ora cerchiamo di trattenere a lungo in noi le riflessioni e le consapevolezze che questo invisibile moralizzatore ci sta portando ad avere.

Imitare ed invitare ad imitare i buoni esempi è un esercizio mentale che in questo momento rieccheggia stimolato dall’evidenza della sua necessità e dalla paura. Se manca l’esempio manca l’ispirazione, e questo i creativi lo sanno, e il mondo della comunicazione, grazie alla sua abitudine alla pervasività e alla reiterazione, può fare molto in questo senso e “dovrebbe” impegnarvisi, soprattutto perché ormai è diventato necessario. Ne abbiamo la conferma ogni giorno. Il tema è quello della responsabilità individuale, quasi banale da descrivere nella sostanza e forse per questo ignorato, sottovalutato e dimenticato. Apprendiamo e formiamo il nostro comportamento per imitazione, prima linguaggi e gesti dai nostri genitori, poi assorbiamo un numero via via più grande di segnali e stimoli, che ci giungono da ogni dove e che trasformiamo nel nostro modo di essere, ognuno il suo, ma ognuno mediando e rielaborando tutto ciò con cui entra costantemente in contatto e che trattiene come propria dotazione personale. I media poi agiscono capillarmente reiterando stimoli che inevitabilmente si sommano agli altri. Alla fine ognuno di noi “è quello che assimila”. E ci comportiamo di conseguenza. Ecco perchè i comunicatori, volenti o nolenti devono sentirsi corresponsabili di quanto può accadere ad una popolazione disorientata da messaggi contraddittori. Soprattutto riflettendo sul fatto che la ripetizione, tipica della comunicazione commerciale, è come fosse una sottolineatura. E ciò rende evidente che scegliere cosa sottolineare è al contempo una responsabilità e una scelta. Usare i “buoni esempi” per formare persone migliori, più consapevoli e maggiormente responsabili non è poi così rivoluzionario, ma è certamente utile e auspicabile che avvenga, a patto che non si banalizzi la questione. Non è infatti un buon esempio l’uso che viene fatto dai media stessi per dare spazio a rappresentazioni poco edificanti e contraddittorie. Se il marketing è una disciplina che studia come incidere sulle scelte di un individuo, è necessario chiedersi anche cosa abbia influito sulla qualità della formazione etica di ogni professionista di quella disciplina. Analoghi strumenti e logiche infatti possono essere usati per scopi nobili, come no. Ad ogni comunicatore quindi la libertà di decidere, ma ad ognuno anche la responsabilità delle proprie scelte e delle conseguenze che da queste derivano. Chi comunica, in qualunque contesto sa, e in cuor suo comunque spera, che trasmettere messaggi produce sempre un risultato: come minimo contamina il ricevente con nuovi stimoli. Chi li riceve li interpreta secondo la propria formazione. E una cosa è certa: qualunque sia il messaggio ricevuto e qualunque sia l’elaborazione che ne viene fatta, nulla sarà come prima che quel messaggio arrivasse. La frase di Rousseau potrebbe quindi aiutarci a individuare persone migliori da cui prendere esempio o a provare noi stessi ad esserlo. Proviamoci anche restando a casa.

Pietro Greppi

ethical advisor e fondatore di Scarp de tenis

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *