Il ruggito del coniglio.

Sofia Ambrosini
Sofia Ambrosini

Il Cannes Lions Festival è alle porte (giorno più, giorno meno) e come tutti gli anni ruggiscono le previsioni, le dichiarazioni e le discussioni. Era meglio prima, quando il leone era IL leone, quello per il miglior commercial tv (le categorie print, poster e radio sono arrivate dopo), o è meglio adesso, che con la partenogenesi delle categorie acciuffare uno dei tantissimi leoni non è più un evento miracoloso? Era meglio prima, quando le idee degli altri non potevi averle viste, se non accidentalmente accendendo la tv del motel quando eri a girare dall’altra parte del mondo, e scoprivi tutto in diretta al Palais godendoti l’effetto sorpresa, applaudendo o fischiando (spesso rosicando), o è meglio adesso, che al Palais rivedi idee che hai già visto e rivisto e sei preparato (spesso prevenuto) dal bombardamento di condivisioni e commenti del chi è più figo di chi e del chi ha copiato chi? È meglio aggiudicarsi uno dei leoni del cartello – si favoleggia che le potenti holding finanziarie della comunicazione se li spartiscano a tavolino come a Jalta – o è meglio strappare un leone estemporaneo come agenzia indipendente? Era meglio la finale contro la Germania o era meglio quella contro la Francia? (Dei mondiali veri stavolta, ogni 4 anni a Cannes si guardano anche le partite di calcio vivaddio, e tifare per la propria nazione – non solo pubblicitaria – è l’evento nell’evento). È meglio il Carlton o è meglio il Martinez? (Questo dilemma attanaglia solo i creativi italiani con qualche annetto all’anagrafe, quelli nati sotto il segno della crisi si trovano al PLM, Paris-Lyon-Marseille, 10 metri dalle poltrone e dall’aria condizionata del Palais e ineguagliabile rapporto qualità prezzo; se non sapete cos’è, o non conoscete Josè Bagnarelli di Eccetera, o siete vecchi È meglio il Pastis o è meglio la birra? (Questo dubbio non mi ha mai nemmeno sfiorata, tutta la vita la seconda). E poi c’è la (LA) domanda, quella che cascasse il mondo c’è sempre. Per capire basta prendere la frase di Woody Allen: «Se finisse il mondo resteremmo in due: io e un assicuratore». E sostituire “un assicuratore” con “la domanda”. La domanda è questa: perché l’Italia a Cannes non vince mai? E imperversa anche quando l’Italia a Cannes invece vince, vedi i risultati degli ultimi anni. Forse è perché noi italiani siamo gli specialisti del dibattito a prescindere dal risultato: cineforum, Bar Sport, talk show o Croisette che sia. In ogni caso secondo me a Cannes, quando si può, è bello esserci. Nonostante la crisi, la baguette di gomma e quell’effetto divertimentificio serale genere villaggio vacanze o festa di Capodanno, resta una palestra senza eguali. Rinchiusa dentro al Palais, io godo come un topo nel formaggio. Anzi, ruggisco come un coniglio in un campo di bistecche di carote.

Siamo aperti anche alle vostre risposte, alle segnalazioni e alle critiche: sambrosini@fav.mi.it

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