Siete un po’’ giù? Fatevi una ’“canna’”’…

L’’ultima ’“canna’” credo di essermela fatta a vent’’anni, era il 1968. Ammetterlo non mi crea imbarazzo: a quel tempo le cose andavano così. Dopo di allora, scemato ogni interesse per la sostanza e per i riti connessi al suo consumo, non riuscii ad appassionarmi al dibattito sulla vera o presunta pericolosità, individuale o sociale, della Cannabis Indica.
In altre parole, coltivai altre passioni.

Oggi ’– come tutti ’– so che le leggi vigenti nel nostro Paese inibiscono l’’uso di tale sostanza, con qualche rara eccezione connessa a finalità terapeutiche. Per questo la notizia apparsa lunedi su alcuni organi di stampa, incluso Pubblico Today, della comparsa sul mercato di una bevanda (un ’“energy-drink’”) denominata ’“Canna-bì’”, proposta in una lattina che reca in bella vista, stilizzata ma riconoscibilissima, una foglia di marijuana, mi ha fatto sobbalzare.

Mi sono chiesto infatti se il prodotto contenga la sostanza incriminata. Improbabile, poiché, in quel caso, i NAS interverrebbero immediatamente, con tutte le conseguenze relative. Ma se la bibita non contiene la sostanza, allora la denominazione e la grafica adottata nel packaging, sono del tutto fuorvianti. In altre parole, in questa seconda ipotesi, ci troveremmo in presenza di una frode in commercio.

Sia chiaro che non sono in ambasce per la sorte che toccherà al produttore dell’’intruglio in questione. Mi interessa piuttosto considerare la posizione dell’’agenzia che dichiara compiaciuta in una nota diffusa sulla stampa di settore e ribadita nel sito aziendale di aver curato ’“la realizzazione del concept creativo, della brand identity e del pack’” e di proporre per il prodotto un ’“target di riferimento, costituito dalla fascia dei giovani tra i 15 e i 25 anni’”.

Non so se l’’agenzia in questione sia iscritta a qualche associazione di imprese di comunicazione, ma in quel caso mi aspetto immediati provvedimenti, poiché non mi pare che tale realizzazione sia compatibile con i relativi codici deontologici. Così come ritengo che lo IAP debba far sentire la sua voce.

Ma prima ancora mi aspetto che tutti coloro che hanno rispetto per questo mestiere, al di là dei personali convincimenti e prescindendo dal riconoscersi in istanze proibizioniste o più tolleranti verso le cosiddette ’“droghe leggere’”, facciano sentire la loro voce e non si limitino ad un’’alzata di spalle: promuovere la vendita ai quindicenni, facendo ricorso al sottile fascino della trasgressione, di un prodotto che strizza l’’occhio a comportamenti che la legge considera proibiti, non fa comunque onore alla professione di comunicatore.

Lorenzo Strona

strona@lsep.it
 

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *