… E POI È SCONTATO …

Ma davvero lo sconto può essere seriamente definito una strategia? La domanda è pleonastica, e tuttavia stupisce come sia diventato trasversale il ricorso a questo strumento. Tranne rare eccezioni, tutti ormai -dal “pizzicagnolo” alla multinazionale- inseriscono lo sconto come argomento di vendita. Ma perché? Ultima chance? Finiti gli argomenti? Stanchezza creativa? Resa definitiva? Potrebbe tentare di rispondere a questo quesito qualche psicologo, un sociologo o, meglio ancora, un dottore in qualcuna di quelle moderne discipline universitarie, assurte a materia di studio sulla scia degli entusiasmi dell’industria della comunicazione creativa, ma sarebbe meglio evitare di farlo, giusto per non coprirsi di ridicolo e per non offendere l’intelligenza di chi potrebbe ascoltare. Nessun significato “alto” può essere seriamente addotto alla logica del “dammi almeno questi (euro)” che in sostanza è il vero messaggio che passa. Nei fatti lo sconto è la banalizzazione di un rapporto. La sua pratica mortifica e vanifica qualunque altra precedente operazione di posizionamento e differenziazione su cui le aziende investono risorse umane ed economiche. Senza parlare delle analisi minuziose cui vengono sottoposte le attività commerciali durante il processo di preparazione e lancio di un prodotto. Tutto va alle ortiche con un semplice taglio di prezzo. Lo sconto rappresenta di fatto il prolasso di un organismo consumato da costanti tentativi di far uscire la merce dal magazzino e ridotto a farlo abbandonando ogni ritegno. Con lo sconto si diminuisce sì la resistenza all’acquisto, ma anche la credibilità del valore attribuito quando il prezzo era pieno. Chi ha comprato senza riduzioni si sentirà derubato e chi compra a prezzo scontato difficilmente ricomprerà ad un prezzo superiore. Chi acquisterà un prodotto che altrimenti non si sarebbe potuto permettere, non sarà poi un cliente fedele a quel prodotto se non quando si ripresenterà lo sconto. Un vulnus difficile da riparare se non ritentando la strada del nuovo prodotto che consente la costruzione del valore su qualcosa di nuovo appunto. Ma il vulnus dello sconto è come un virus: è ormai penetrato nell’organismo del sistema e appena può si ripresenta in mille forme diverse. Ma è sempre lui: 3×2, 1+1, sottocosto, solo per oggi, solo per te, solo. Questa pratica imbarazzante in alcune aziende ha raggiunto anche vette estreme, facendoci assistere alla vendita di prodotti scontati che mai sono stati venduti a prezzo pieno. Non è una soluzione onesta e dignitosa neppure quella di comunicare un prezzo, solo apparentemente “inferiore o uguale a prima”, ad un prodotto cui sono state modificate alcune caratteristiche difficili da percepire. È il caso dei fazzoletti usa getta che da 10 al pacchetto sono diventati 9, o delle confezioni di alimenti o detergenti solidi, liquidi o semiliquidi cui è stato diminuito il volume o il peso di quel poco che fai fatica a notare, perché non è che guardi sempre il peso. Pensi di pagarlo meno, ma è più vero il contrario. Neppure un commerciante del Marocco sarebbe disposto a scendere così in basso. Nel suo Paese la pratica dello sconto fa parte di un modo di vivere le relazioni dove tu che vendi e io che compro sappiamo che la convenienza deve essere reciproca. Tu che vendi la spari alta e io tendo a comprare al minimo. È un gioco, anche divertente, che mette in relazione lo spirito dei due soggetti coinvolti nell’affare da concludere. Vincono tutti e due, uno perché qualcosa guadagna sempre e l’altro perché compra anche l’illusione di aver stabilito il prezzo migliore. C’è complicità e la reciproca consapevolezza di aver giocato “al mercato”. “Da noi” invece la fretta ha fatto il suo lavoro e da “brava cattiva consigliera” ha eliminato le relazioni fra le persone. La volontà di comprare al minor prezzo si confronta con quella di vendere il più possibile. Il denaro resta l’unico attore protagonista. I prodotti, le marche e le persone perdono di rilevanza. Anche se la pubblicità tenta di introdurre in modo artificiale e fuori luogo sentimenti che ormai, anche quelli, appaiono scontati. Sarebbe meglio per tutti stabilire solo il giusto prezzo per tutto. Ma quale sarebbe? Parliamone.

Pietro Greppi

ethical advisor e fondatore di Scarp de tenis

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

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