Mi fai vedere

image16

“Allora restiamo d’accordo così: hai tre settimane di tempo per farmi vedere come baci, come mi fai ridere, come cucini, che film ti piacciono e quanta roba ti porti dietro per il week-end. E per farmi vedere come sei a letto e poi al mattino appena sveglia. E mentre tu mi fai vedere, io mi vedo con altre due, anzi no tre, facciamo quattro va, che contemporaneamente mi fanno vedere anche loro le cose che mi fai vedere tu. Poi ci penso un po’ su e ti faccio sapere chi ho scelto tra di voi.”
Dite che una donna non prenderebbe nemmeno in considerazione una proposta del genere? Che non accetterebbe mai di giocarsela a queste condizioni?
E se al posto della donna ci fosse un’agenzia, e al posto dell’uomo un cliente? Beh, in questo caso sarebbe tutto un altro discorso, non si tratterebbe di una proposta, sarebbe una gara, e le gare, si sa, possono essere dure, molto dure, ma rappresentano pur sempre una possibilità (su due, su tre, su quattro, su cinque…) di portarsi a casa un nuovo cliente, e quindi di fare il bene dell’agenzia. O no?
Non è facile rispondere, l’argomento è da sempre uno dei più caldi e discussi del nostro mestiere. Probabilmente per le aziende le gare sono solo il modo più consueto per giustificare una scelta, e forse dovremmo essere noi agenzie a ripensare al new business (che si chiama nuovo, ma insomma), perché alla fine nessuna di noi o quasi è mai contenta, a parte chi vince, e certe volte neppure. Ma se vogliamo cambiare, come? E cosa? Qualcuno vorrebbe mettere un limite al numero dei partecipanti, giocare in troppi con un solo pallone in effetti non è così divertente. La cosa è stata più volte presa in considerazione, un vero e proprio cartello non si può fare, però ci si potrebbe mettere d’accordo, ad esempio, di duellare al massimo in tre. Certo che poi alle regole bisognerebbe tener fede. Solo noi sappiamo cosa accettiamo quando accettiamo, cosa rispondiamo al cliente che ci fa la sua proposta, o cosa proponiamo noi stessi al cliente. Personalmente mi trovo d’accordo con Alex (Bogusky, il guru della comunicazione che incitava a sacrificare gli amici di Facebook in cambio di panini in una famosa campagna per Burger King), che considerava le gare comunque come una possibilità. Così rispondeva Alex a un’intervista di Forbes sull’intensa attività di new business della sua Crispin Porter + Bogusky: “Ho sempre pensato che partecipare alle gare sia un pretesto per fare ricerca e sviluppo, un’opportunità per innovare.” Lo trovo un punto di vista interessante perché, a prescindere dalle regole del gioco, la passione, il desiderio di farcela, l’adrenalina della gara ci portano a misurarci prima di tutto con noi stessi, ci spingono più in là della routine del nostro mestiere, e oltre a delle nuove strade da percorrere per la marca, qualche volta ci fanno scoprire anche delle nuove strade da percorrere per noi. Una sola cosa è sicura, ed è che perdere una gara ci fa soffrire, e nessuna regola potrà mai lenire questo dolore. Se poi, come diceva Enzo Ferrari, “il secondo è il primo degli ultimi”, figuriamoci il terzo, il quarto, il quinto…

Sofia Ambrosini

Siamo aperti anche alle vostre risposte, alle segnalazioni e alle critiche: sambrosini@fav.mi.it

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *