COMPLICI POSITIVI O NEGATIVI?

I consulenti per la comunicazione delle aziende, sono loro “complici”? Può un pubblicitario, un comunicatore, avere le medesime responsabilità dell’azienda cui presta i propri servizi quando questi producono risultati di qualunque segno? Propendo personalmente per una doppia risposta affermativa, facendo però precisazioni e distinguo necessari, soprattutto perché, chi comunica per professione, con le parole, i loro significati e le loro combinazioni può orientare una scelta. E non è raro che ci riesca. Al termine “complice” i vocabolari danno sostanzialmente la seguente definizione: “chi, in accordo con altre persone, prende parte attiva o secondaria nell’organizzazione o nell’esecuzione di un progetto o azione criminosa o comunque moralmente riprovevole”. Una definizione che si ritrova più o meno uguale in quasi tutte le edizioni, ma che contiene un seme di negatività che permane nel lessico comune anche se, per la verità, esiste una definizione più morbida, elencata come secondaria, che considera la semplice idea della “collaborazione attiva nel raggiungimento di un obiettivo” senza attribuirvi valore di alcun segno. Ma in linea generale il termine rimanda prevalentemente ad un valore negativo.

Restando nel mondo della comunicazione è innegabile, normale, assodato e palese che agenzie e consulenti operano a fianco delle aziende, per sostenerle nel raggiungimento di ben determinati scopi e fini. Ed è proprio su questa trasparenza di ruolo che ritengo doverosa e possibile una doppia lettura del termine “complice”, affinché i protagonisti del mondo della comunicazione possano riflettere sulle responsabilità che questo porta con sé. Una lettura che distingua e identifichi con chiarezza ciò che anima il pubblicitario complice e che ne offra un profilo diverso a seconda che il suo “contributo” spinga verso una direzione o un’altra.

Ma quale direzione diversa dagli interessi dell’azienda potrebbe mai esserci direte voi! È presto detto. Pur lavorando al servizio di un’azienda, chi lavora in pubblicità non può avere, se non incidentalmente, la stessa visione e la stessa cultura di chi lo ingaggia. Può certo ascoltarne gli obiettivi, ma il professionista della comunicazione -se di professionista si tratta- è anche a conoscenza delle potenziali ricadute sui destinatari, positive e negative, sia delle parole che delle immagini che potrebbe usare. È il suo mestiere e, se ne è cosciente, deve saper affermare la propria competenza e autorevolezza professionale. E se il cliente del momento gli chiede o suggerisce formule e soluzioni che il comunicatore riconosce essere “scorrette” o anche solo potenzialmente portatrici di valori negativi o di difficile interpretazione, dovrebbe farlo presente al suo interlocutore, anche con determinazione, per formare in costui una migliore consapevolezza.

È in questa scelta che si esprime il genere di anima complice che, molto semplicemente, separa quella buona da quella cattiva.

Chi garantisce il comportamento corretto dell’industria pubblicitaria è, prima di tutto, la coscienza responsabile degli stessi professionisti della pubblicità, che mi piace pensare siano consapevoli di non doversi mettere esclusivamente al servizio di coloro che finanziano il loro lavoro, ma anche di rispettare e sostenere i diritti e gli interessi del loro pubblico e di contribuire solo così al bene comune. Perché si tratta sempre di bene comune. Un bene che va tutelato pensando che agiamo tutti all’interno di un cerchio molto piccolo: nelle aziende ci sono persone e le persone sono la società di cui le aziende fanno parte. Finito il cerchio.

Molti professionisti impegnati nella pubblicità hanno coscienze sensibili, alti principi etici e senso di responsabilità. Ciò nonostante, a causa di pressioni esterne di vario genere cui non sanno opporsi, capita persino a loro di “distrarsi” e assumere un comportamento scorretto. Ma in questo contesto, ci sono soltanto due alternative. Essere complici positivi o negativi. Ognuno si riconosca in quello che gli corrisponde.

Pietro Greppi

ethic advisor e fondatore di Scarp de’ tenis

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

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