STUDIATELI GLI EFFETTI COLLATERALI DELLA COMUNICAZIONE COMMERCIALE!

Come viene considerata l’etica nella comunicazione? Che cosa significa produrre comunicazione con spirito etico? Posso rispondere per me, per come la intendo io e per come mi piacerebbe venisse intesa da tutto il comparto. Sarebbe una rivoluzione culturale. E forse è per questo che questa (necessaria) rivoluzione viene osteggiata più o meno consapevolmente.

Personalmente e professionalmente l’invito principale, che rivolgo a me stesso, ai colleghi e alle aziende è quello di riflettere, prima di comunicare, su ciò che un determinato messaggio potrebbe procurare negli altri. Anche considerando il percorso che farà. Di solito se una strategia produce ordini, si è soddisfatti, ma degli effetti collaterali non ci si occupa. Oso dire che la gran parte dei comunicatori dimostrano oggettivamente di non considerarli nemmeno perché, dicono in molti candidamente, “in fondo è solo pubblicità!”.

Le conseguenze cui mi riferisco sono ovviamente quelle negative per il cliente finale che “a ruota” diventano negative (e in modo amplificato) anche per il committente del messaggio. Ma questo non sembra essere nei “pensieri” di aziende e agenzie.

Faccio un esempio molto chiaro: incrementare le vendite di alcoolici è ritenuto un successo per chi li produce e li vende. Ma le situazioni pericolose, provocate da un loro abuso, non vengono prese in seria considerazione se non quando le aziende vengono costrette dal contesto a inserire messaggi di attenzione sulle bottiglie e nei messaggi pubblicitari. Cosa, quest’ultima, che in realtà non farebbero e non vorrebbero fare perché ritengono che “incida negativamente sulle vendite”. Le aziende quindi, restando sull’esempio degli alcoolici, non pensano mai troppo seriamente ad un evento collaterale derivante dall’incentivo al consumo di alcool che la loro pubblicità produce. Non considerano che pur non riguardandole direttamente, un incidente causato dall’alcool rende vittime loro stesse, almeno per quanto riguarda proprio i loro obiettivi di consumo o le ricadute in termini di reputazione della “categoria”. Ogni incidente provocato da un abuso di alcool, è provato da ricerche indipendenti, che produce conseguenze che si riflettono sui consumi futuri e sulle reazioni di tutti coloro che direttamente o indirettamente entrano in contatto con quell’evento tragico. La ricaduta negativa di un evento coinvolge più attori, parenti e amici delle vittime, ma anche tutti coloro che sentiranno parlare del fatto sui giornali, telegiornali e nel paese della vittima, il vicinato… Il cliente bevitore, se è sopravvissuto, tornerà a bere?  E tutti quelli a lui vicini come si comporteranno? In quale modo e con quale intensità la reputazione della marca alcoolica o della categoria dei produttori subirà un contraccolpo? Quante persone di quelle coinvolte emotivamente da quel fatto stimeranno positivamente la marca o il settore? Andando sul generale, c’è qualcuno che si chieda che catena s’innescherà a fronte di un incidente, di qualunque natura, il cui protagonista sia il “nostro” prodotto, la Marca o il suo testimonial? Per chi si chiedesse quali altri ambiti dovrebbero fare attenzione a ciò che comunicano, andrebbe osservato che nessuno è escluso.

Certo è che certi settori dovrebbero dimostrare maggiore responsabilità di altri per le conseguenze collaterali che “l’adozione dei loro consigli” può produrre. Uno per tutti è il settore indebitamente chiamato dei “giochi”… lotterie, casinò, scommesse, etc. le cui sirene troviamo ormai ovunque e su cui poco si riesce a dire perché fonte di una grande raccolta di fondi basata sulla credulità popolare sull’esistenza di una certa “dea bendata”.

Un’ultima osservazione: chi comunica a fini commerciali, normalmente affina “le lame del professionismo” per spaccare, come si usa dire, il capello in quattro, per essere efficace nell’intento di vendere. Manca però l’abitudine a studiare se, dopo il “colpo perfetto”, la base su cui ci si è appoggiati sia rimasta segnata. La base -non fosse chiaro- è l’utente finale, cioè nostra madre, i nostri figli… Si può svolgere qualunque professione e servire egregiamente la propria azienda anche pensando a questi aspetti e riflettendo sul fatto che, senza un pensiero etico, cercare di raggiungere obiettivi sempre più “alti” può far cadere in basso e lasciare dietro di sé segni non proprio meritevoli di orgoglio.

Pietro Greppi

ethic advisor e fondatore di Scarp de tenis

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *