Oggi scriviamo tutti, ovunque… ma ci capiamo?

Scrivere. Dove? Per chi? A chi? Per sé o per chi ti legge?

Social o non social che sia, l’atto di scrivere testi destinati ai media fisici o digitali, richiede perlomeno sapere che scrivere ad un pubblico richiede poter essere letti, ma soprattutto compresi. Se scrivi trasmetti messaggi che devono (l’imperativo ci vuole) avere significati chiari e precisi… che non è facile, che non è un automatismo dello scrivere e che è uno scopo diverso dal voler dimostrare di esserci per esserci. Saper scrivere sembra facile. Ti viene insegnato fin da piccolo e oggi puoi farlo anche usando tasti che hanno sostituito la penna e hanno però contribuito a rendere tutto molto più freddo. Per evitare questo rischio (considero la freddezza un rischio) io scrivo a penna e poi ricopio, perché un testo freddo è quello che arriva da un calcolo che oggi “chiamano” SEO. Una mano che scrive a penna trasmette alla penna dei sentimenti. Un dito che preme un tasto trasmette solo una pressione ad un oggetto che reagisce rappresentando su uno schermo un segno predeterminato.

Se scrivere è abbastanza facile in senso fisico, lo è molto meno saperlo fare per trasmettere contenuti chiari. Conoscere la lingua con la quale ci si esprime nel proprio Paese è una cosa, ma usarla nel rispetto degli altri e rispettare chi non la conosce a sufficienza è un impegno che non sembra siano in molti a prendersi. Nella scrittura il rispetto degli altri lo trasmetti rendendo ogni testo lineare e comprensibile anche ai meno preparati, addetti ai lavori o meno che siano.

Nei cosiddetti social e nel web in genere, diventati luoghi dove ormai tutti scrivono, si trovano sempre più spesso testi esageratamente “conditi” con termini ereditati e assorbiti senza batter ciglio, dalla cultura americana. Assorbire però i termini, senza possedere la cultura che li genera è un azzardo. È come voler mettere una spezia esotica in una pietanza della tradizione popolare italiana pretendendo che questo a priori la renda “migliore” o che addirittura possa sostituirla. Sono ormai anni che certi termini hanno raffreddato il potere che ha la nostra lingua di scaldare l’anima e nutrire di sentimenti la mente. Interventi fini a sé stessi, molto diffusi sul web, senza anima né personalità, manifestano una fascinazione esagerata per i nuovi media, perpetuando l’errore di confondere il contenitore con il contenuto. Qualche esempio: “credo sia importante l’engagement che si riesce a creare”, “un tone of voice adeguato alla brand identity e al canale”, “coinvolgenti per la community”, “la timeline è una funzione dalle enormi potenzialità in ottica di storytelling” … e così via. Scrivere sciorinando questi termini contiene un rischio involutivo e rappresenta un pericoloso irrigidimento mentale che potrebbe confondere addirittura l’autocomprensione: ci sono sempre più persone che non sanno spiegare con parole diverse quello che hanno appena detto usando espressioni inglesi. Peccato, perché questo accade spesso ad opera di persone giovani, fresche, potenzialmente capaci di contaminare vecchi modelli con nuovi stimoli, nuove proposte e nuovi progetti di costruzione di un mondo diverso e “sociale” che non è la stessa cosa di “social”. I nuovi media non sono “la strategia”, non sono “la soluzione”, ma semplicemente nuovi contenitori nei quali inserire contenuti… che non sono solo parole e non sono “la SEO”, ma contenuti che raggiungeranno un grande numero di persone che dovrebbero trarne un giovamento. I nuovi media sono l’occasione per fare ciò che altri media non hanno consentito. Sarebbe bello che i giovani appassionati di nuove tecnologie si adoperassero più spesso per approfittare dei nuovi strumenti non necessariamente pensando di dover contribuire a vendere un prodotto (che sinceramente dovrebbe richiedere molti meno sforzi di quelli che vedo mettere in atto), ma per cercare di contaminare il maggior numero di persone (anche i loro coetanei) con sentimenti di rispetto e di etica in generale. Si può fare, ma nessuno li stimola in questo senso. Se si è in grado di interessare molte persone, perché non farlo per trasmettere conoscenza, curiosità, consapevolezza civile? La crescita di un Paese non dipende dalla capacità di comprare o di vendere e nemmeno da quella di produrre, bensì dalla capacità di formare una coscienza etica di responsabilità individuale ad ogni livello!

Pietro Greppi

ethic advisor e fondatore di Scarp de’ tenis

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

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