NON (AP)PROFIT Raccolta Fondi e Donazioni

Da quando le associazioni del cosiddetto terzo settore, quelle cioè che rientrano nell’area del non profit, si sono affacciate “sul mercato” della raccolta dei fondi necessari per il raggiungimento sia dei loro scopi associativi che della sussistenza delle associazioni stesse, si è manifestata una proliferazione di esperti, corsi, convegni, modelli di raccolta alternativi, etc. Utili? Solo in parte e più spesso solo in teoria. Nella raccolta fondi di questo settore si è certo sviluppata, anche tardivamente, una coscienza diffusa sul fatto che sia necessario non solo comunicare, ma farlo con metodi che consentano in modo efficace di ottenere i risultati sperati. Risultati che coincidono quasi sempre con l’ottenimento di donazioni in denaro o in natura. Questo affollamento di associazioni e dei relativi esperti accorsi in loro supporto, ha determinato però la nascita di modelli mortificanti l’impegno e la ricerca e certo indegni di essere messi al servizio di cause spesso nobili. È capitato, tra gli altri, che addetti della comunicazione, abituati a “studiare” le raccolte punti abbiano orgogliosamente sottoposto di travasare quelle stesse logiche alle questioni umanitarie confezionando imbarazzanti cataloghi di oggetti certamente inutili sia a rafforzare gli scopi delle associazioni, sia nel determinare la consapevolezza diffusa del dono incondizionato se non da una buona causa. Soluzioni ripeto francamente imbarazzanti che hanno ahimè trovato comunque accoglienza in molte associazioni, anche “blasonate”, e che tuttora vengono utilizzate periodicamente “perché funzionano” … rivelando un grave problema culturale che accomuna il Paese. Inoltre, a parte l’onnipresenza di truffatori a approfittatori, che preoccupa ma non stupisce, la questione su cui va fatta una riflessione è che di fatto l’aspetto primario dell’intervento di utilità sociale è passato nella percezione popolare in secondo piano disturbato da un fattore che il settore non aveva mai considerato troppo seriamente (e ancora stenta a farlo) come criticità su cui agire coralmente. Si tratta del fattore “concorrenza”, molto ingombrante e potenzialmente destabilizzante, che è di due tipi. Quello intersettoriale (varie associazioni che si occupano dello stesso tema senza parlarsi fra loro … anzi) e quello che si manifesta nella continua e ripetuta richiesta di sostegno che accomuna tutto il terzo settore, composto ormai da circa 300.000 associazioni che “tendono la mano contemporaneamente”. Si tratta di un traffico oggettivamente eccessivo, che sommato ad una crisi economica generale e ad un’attenzione altalenante e spesso mortificante delle leggi che riguardano il settore, ha generato un forte -direi inevitabile- rallentamento dei risultati di raccolta per quasi tutte le organizzazioni, fatta eccezione per quelle ormai storiche e iperstrutturate diventate soggetti di richiamo televisivo e per questo supportate nel loro compito dai media che le utilizzano ormai anche come elemento di spettacolo … poco male … tranne che, così facendo, si innesca (a fin di bene per carità) una “concorrenza sleale” nei confronti di quelle realtà che ne avrebbero più bisogno. Senza contare la comprensibile mancanza di fiducia del pubblico sull’utilizzo accorto e trasparente delle risorse raccolte. Una diffidenza alimentata sia da spiacevoli comportamenti di “alcune mele marce” sia dalla scarsa propensione a rendere trasparente l’impiego delle risorse raccolte. Il problemi del terzo settore non si risolvono certo con un articolo, ma due o tre suggerimenti li vorrei offrire. Tutte le associazioni che agiscono su uno stesso problema sociale dovrebbero consorziarsi e fare azioni corali di raccolta, dividendo i risultati in funzione delle effettive priorità ed esigenze presenti sul territorio di competenza. “Togliere di mezzo i cataloghi” e sostituirli con informazioni puntuali sulle effettive attività realizzate con il raccolto. Agire coralmente per qualificare l’intero settore come il luogo del lavoro di migliaia di professionisti e volontari impegnati in attività che dovrebbero essere gestite dallo Stato. Pensateci seriamente anche “sotto l’ombrellone” che a Settembre “torno e vi interrogo”!

 

Pietro Greppi

Ethical advisor e fondatore di Scarp de’ tenis

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

 

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