IL TEATRO DELL’ ASSURDO

Va detto apertamente che le agenzie con tutti i loro addetti, per quanto si sforzino di sembrare moderne e innovative, nei fatti si dimostrano dei dinosauri. Dichiarano di essere costantemente alla ricerca di ‘soluzioni’, ‘nuovi territori’, ‘nuovi significati’, ‘nuove strategie’ e lo fanno da anni. Ma contemporaneamente accade un’altra cosa bizzarra: nessuno che, oltre alle dichiarazioni, sia disposto a cambiare qualcosa del proprio operato per riuscire nell’intento di innovare davvero. Forse perché non è ben chiaro a nessuno cosa significhi innovare. Forse perché cambiare significherebbe fare “semplicemente” cose diverse, per le quali sarebbe necessario prepararsi o, addirittura, potrebbe significare dover iniziare un “rinascimento professionale”. Siamo nell’era di un “animato immobilismo” della comunicazione, dove in troppi reiterano da anni modelli sempre uguali e discutibili, tendenzialmente pieni di vuoto e con il difetto di essere appunto dei modelli, quindi per nulla imparentati con la creatività di cui ci si riempie il portfolio. Unica correzione davvero visibile nel tempo è stata quella dell’incremento di frequenza degli spot, con il conseguente aumento di investimento. Una “scelta” dichiarata dal comparto come “necessaria per tornare ad ottenere i risultati di prima”. Ma perché nessuno osa chiamarli sprechi? Perché non si riconosce che sono spese deleterie per l’economia delle stesse imprese? Imprese che sembrano non capire la follia che pervade le loro scelte, alle quali seguono pure i loro imbarazzanti lamenti. Scelte giustificabili solo con l’idea che seguire percorsi noti possa essere rassicurante. Un po’ come assistere ad una Tragedia di cui si conosce già tutto, la cui rappresentazione teatrale continua ad essere messa in scena, ottenendo sempre il tutto esaurito solo perché il pubblico è sempre il medesimo, nonostante la fine tragica sia sempre uguale e annunciata. Una platea artefatta che assiste e applaude ormai per tradizione, per mantenere in vita uno spettacolo il cui interesse si svela ormai essere solo la gratificazione degli attori sul palco (le aziende) che, a metà fra consapevolezza e follia, sono addirittura disposti a pagare loro il biglietto alla platea, quale che sia, pur di sentirsi seguiti. Un teatro dell’assurdo. Eppure nel teatro della vita ci sarebbe molto altro da rappresentare, anche senza scomodare il mantra del pensiero etico, che davanti a certe situazioni rischia davvero di apparire come alieno. Ad ogni modo ho verificato essere proprio l’idea di cambiare paradigmi e di operare un rinascimento della professione che, solo a parlarne, fa scattare quei segnali leggibili solo da chi riconosce il linguaggio del corpo. Nasi che cominciano a storcersi, occhi che si smarriscono, braccia, gambe e mani che prendono le posizioni più strane, che esprimono disagio, rifiuto … e bugie. Mortificante, ma anche divertente. Sembra che la parola “etica” spaventi e faccia immaginare chissà quali difficoltà! Allora chiamiamola diversamente! Come si tende a fare con i prodotti: se un nome “allontana” … si cambia. Chiamiamola rispetto per il pubblico, chiamiamola responsabilità sociale …. ma resta l’urgenza di una rivoluzione culturale che richiede impegno, coraggio e attitudine alla trasparenza. Qualità difficili da acquisire se si è abituati ad altro e, soprattutto, se si è convinti che non ci sia alternativa migliore a quella che si conosce e che – si dice – “vuole” il mercato. L’etica, con tutti suoi secondi nomi, subisce una forma di razzismo comportamentale e di pensiero, per cui ciò che ti risulta estraneo (o straniero) fai prima a rifiutarlo che a capirlo. Ed è per questo che le  energie che sarebbero capaci di contagiare positivamente l’intero sistema restano inascoltate. Il mondo della comunicazione, in ultima analisi, sta facendo tanto rumore intorno a cose che non hanno più significato, se mai l’hanno avuto. Di etica si parla, ma spesso solo perché è un tema che fa apparire migliori … tipico della filosofia di fondo del comparto e triste abitudine di troppi addetti ai lavori, abituati a dire qualunque cosa convenga pur di mantenere alta la possibilità di fatturare. Semplicemente tragico.       

Pietro Greppi

Ethical advisor e fondatore di Scarp de’ tenis

Fondatore del Laboratorio per la realizzazione del Linguaggio universale non verbale

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

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