UN GRADITO OMAGGIO

Usiamo tutti molte frasi fatte. Modi di dire che in alcuni casi diventano anche proverbiali (letteralmente). E la pubblicità contribuisce generosamente alla loro diffusione perché se ne nutre spesso e volentieri, inventandone anche di nuovi (o così o pomì), rischiando però di svuotarli dei significati originali e trasformandoli in semplici battute senza senso, nella convinzione siano utili al prodotto cui si accompagnano. Possiamo però anche farcene una ragione e accoglierne gli aspetti positivi perché bene o male concorrono all’arricchimento del vocabolario individuale, se così vogliamo definirlo. Ma giusto per non abbandonare lo spirito critico di questa rubrica proviamo a cercare alcune curiosità in questo ambito. Un primo esempio possiamo farlo andando a vedere cosa succede quando -in pubblicità- la lingua italiana incrocia anche indirettamente quella inglese. Sorvolando sull’infarcitura invasiva e inspiegabile dell’inglese negli spot italiani e premesso che imparare l’inglese può essere utile, dobbiamo dire che se con l’italiano facciamo ancora fatica a convivere sarebbe opportuno porre prima rimedio a certe “nostre” carenze. Soprattutto perché ci dovrebbe essere la capacità di tradurre correttamente. Se zoppichi nella tua lingua madre come puoi pensare di poterne usarne correttamente un’altra? Certi inciampi fra te e te li puoi gestire e correggere, ma quando, con una certa leggerezza, introduci le tue carenze in frasi destinate ad essere diffuse e amplificate dai vari mezzi di comunicazione, rischi di trasmettere e far attecchire i tuoi errori su chi riceve e raccoglie i tuoi contenuti. Esempio concreto: la frase “… verrà consegnato un gradito omaggio …” è un’evidente, maldestra ed errata traduzione dalla forma originale inglese “welcome gift”. Spesso utilizzata in pubblicità del tipo “hard sell” (vendita aggressiva?), contiene impropriamente il termine “gradito” che risulta presuntuoso e fuori luogo perché affermazione fatta da chi l’omaggio lo dà, e non da chi lo riceve, come dovrebbe essere. Questo difetto non esiste nella forma inglese il cui tono è infatti molto più “sensato ed elegante”: “welcome gift” significa infatti più semplicemente “omaggio di benvenuto”, che se permettete è tutt’altra cosa.Altro esempio, questa volta non derivante da un’impropria traduzione, lo possiamo osservare quando aggettivi (in genere superlativi) come “straordinario, grandioso, indimenticabile, fantastico … ” vengono utilizzati per auto-qualificare un evento o un prodotto qualunque:  non potrete non notare che ad attribuire quegli aggettivi sono coloro i quali quegli eventi o quei prodotti li presentano e non –come ci si aspetterebbe fosse- chi vi ha partecipato o chi li ha provati. Personalmente “mi manda in bestia”  anche la frase “toccare con mano”che viene usata anche per cose che non puoi toccare. Ma poi, anche fosse, in quale altro modo si potrebbe toccare? Comunque sono solo alcuni curiosi esempi, i più frequenti ma non i soli e non i più scorretti, di come il linguaggio pubblicitario tenda ad essere superficiale sull’uso delle parole. A volte si ha la sensazione che il vuoto di certi messaggi venga riempito con secchiate di parole fino al riempimento dei trenta secondi. Non so voi, ma a me viene spontaneo chiedermi perché certe frasi, che dovrebbero avere un senso preciso, conseguente e coerente ad un’azione, quando entrano nella disponibilità dei creativi vengono usate senza riflettere. Chi lo sa? Forse nessuno. Perché certe abitudini entrano nel quotidiano e, come le tradizioni, entrano nelle esperienze “professionali” da tramandare anche tramite sedicenti scuole di comunicazione dove docenti del settore riescono a spendere ore per descrivere queste “soluzioni”. Certi pubblicitari le inseriscono per abitudine nelle campagne su cui lavorano, semplicemente perché “sanno che funzionano” (ahimè! Ma con chi?) o perché gli hanno detto così. Confessatelo: se siete dei creativi di primo pelo o anche d’esperienza, ma costretti a lavorare con quel che c’è … sarà capitato anche a voi di farlo! O almeno di vederlo fare! Ma perché?

Pietro Greppi

Ethical advisor e fondatore di Scarp de’ tenis

Fondatore del Laboratorio per la realizzazione del Linguaggio universale non verbale

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

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