Andare in Cina? Sappiate che….

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Sono tante le aziende del lusso che hanno aperto negozi nell’ex Celeste Impero e hanno anche intrapreso iniziative di comunicazione. Si tratta soprattutto delle grandi maison conosciute a livello internazionale ma le potenzialità non mancano anche per i brand minori purchè si proceda con una strategia ben definita e con una precisa conoscenza della regione in cui si decide di operare. Cultura, tendenze e abitudini di acquisto devono essere ben ponderate per un ingresso efficace.

La Cina infatti è un Paese molto digitale, e ce ne si accorge subito appena si arriva perché il wi-fi è ovunque e sui taxi e negli ascensori troviamo spesso digital screen. E’ quanto racconta un profondo conoscitore del gigante asiatico, Giuliano Noci, vice rector for China e full professor di marketing al Politecnico di Milano: «Con una popolazione di 1,3 miliardi di persone, città di 6 tier a seconda dello sviluppo economico, è in atto in Cina la più grande campagna di urbanizzazione della storia, perché sono decine di milioni le persone che si stanno muovendo dalle campagne verso le città. Gli utenti di internet sono circa 600 milioni, un miliardo e 100 milioni i sottoscrittori mobile. Sono cifre che fanno rabbrividire se pensiamo alle numeriche occidentali!

La middle class sta crescendo, attualmente è composta da circa 150 milioni di soggetti che raddoppieranno nel 2020. Questi ultimi anelano fortemente ai prodotti occidentali, anche se sta emergendo uno spirito nazionalista, sta recuperando valore l’orgoglio nazionale e cominciano ad affermarsi brand cinesi, per cui nei prossimi anni sarà più difficile trovare spazio in questo mercato. Ciò detto, è importante non perdere tempo e conoscere le abitudini del consumatore con gli occhi a mandorla: passa molto tempo on line, soprattutto chatta, e attraverso il chatting sviluppa la propensione verso la marca o evidenzia critiche e suggerimenti.

E’ molto giovane, in media i ricchi cinesi hanno 25-30 anni, utilizza internet soprattutto da mobile, infatti sono 420 milioni le persone che si connettono in movimento contro 398 milioni che usano internet da pc. L’ecommerce è esplosivo: le vendite on line raggiungono ben oltre i 100 miliardi di dollari, superiori addirittura a quelle americane. Ciò detto, la strategia di ingresso in Cina non si può basare solo sull’on line, deve essere per forza multicanale. Ci si potrebbe chiedere perché aprire uno spazio al “Plaza 66” a Shanghai, dato che sono pochissime le persone che entrano nei negozi di questo prestigioso shopping mall. Inoltre un punto vendita in questo spazio commerciale è costosissimo, molto più che in Montenapoleone a Milano. La risposta è che si tratta comunque di uno spazio che qualifica, serve per il posizionamento di marca, non essere lì significa non essere presenti nella mente dei cinesi. E il livello di conoscenza del made in Italy che hanno i consumatori con gli occhi a mandorla è basso, fanno molta confusione, pensano che Louis Vuitton sia italiano, e per loro la Ferrari e la Bentley sono la stessa cosa, quello che conta è lo status.

Paradossalmente esiste un pregiudizio positivo nei confronti dell’Italia, ne viene riconosciuta la qualità, l’eccellenza, la sicurezza, ma sui brand italiani c’è poco ricordo. E’ importante per un’azienda veicolare in modo chiaro l’autenticità perché i cinesi sono ossessionati dai fake, quindi vanno rassicurati sul fatto che il prodotto sia originale. E’ importante uno storytelling improntato sulla tradizione, sull’autenticità e la storicità della marca».

Vanna Assumma

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