SOSTANTIVIAMOCI

zerbiniMisteri della lingua italiana. Se scrivi: «Guidare come un pazzo a fari spenti nella notte per vedere se poi è tanto difficile morire», sei un “paroliere”; se scrivi: «Era la veglia del trattore Ford&Amog, e la tromba di Tequila sollevò le sottane alle fanciulle», sei un “poeta”; se scrivi: «Quando Joana Carda segnò il suolo con il suo bastone d’olmo, tutti i cani di Cerbére cominciarono a latrare», sei un “narratore”.

Se invece scrivi «Banca Mediolanum, costruita intorno a te!», sei un “creativo”. Una constatazione che ti costringe a riflettere, soprattutto se hai rifiutato un invito a cena e ti ritrovi nella tua stanza d’albergo con niente di meglio da fare. E ti chiedi: «Come mai tutte le professioni che prevedono un forte contenuto intellettuale vengono definite con un sostantivo e per quella della pubblicità si usa un aggettivo? “Creativo”, non dovrebbe essere l’attributo utilizzato esclusivamente per qualificare la natura propria delle divinità?». Una risposta prova a dartela il matematico Henry Poincarrè: «Creativa è la persona capace di unire elementi esistenti con connessioni nuove e utili».

Come spiegazione non è proprio chiarissima, ma almeno elimina la possibilità che all’autore dello slogan per la banca di Basiglio Milanese salti in mente di paragonarsi a Dio. Più concreta e attuale appare la definizione del termine proposta dal Vocabolario Treccani. «Creativo: nella tecnica della pubblicità è colui che ha il compito di ideare i testi e le immagini per la campagna pubblicitaria di un prodotto, suggerendo proposte che siano insieme inedite e persuasive, capaci di raggiungere con immediatezza i fini prefissati».

Risolta la questione semantica ti rimane da chiarire il motivo per cui nessun paroliere, poeta o narratore sarebbe disposto a riconoscere la pari dignità ad un creativo pubblicitario.

Massimo Guastini, nel suo intervento di qualche giorno fa su Pubblico Today, difende con passione la categoria dei pubblicitari creativi (definiti anche “creatori di contenuti”) distinguendoli dagli altri professionisti che operano all’interno delle imprese di comunicazione. Quelli sopravvissuti, sostiene Massimo, «sono per lo più folli, affamati e parecchio coraggiosi». E conclude: «La crisi prolungata sta selezionando i migliori e i più battaglieri». Fosse vero sarebbe una buona notizia. Follia, fame e coraggio sono sempre stati fattori importanti per uscire dalla palude e affermare il valore (non equivoco) della propria identità.

Ma follia, fame e coraggio non bastano se manca quella passione che spinge l’individuo (una persona, non una categoria) a rischiare in proprio, sfidando le convenzioni, senza accettare compromessi. Se il futuro che Massimo Guastini ipotizza per i creativi pubblicitari vedesse i diretti interessati impegnati a colmare il gap d’immagine che li separa da tutti gli altri soggetti che esercitano attività intellettuali, potremmo dire di essere finalmente usciti a riveder le stelle.

Bruno Zerbini

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