Un’agenzia del lusso per il lusso: OgilvyDeLuxe

Tutti conosciamo Ogilvy & Mather, ma OgilvyDeLuxe non è un’agenzia di advertising che lavora per il lusso, bensì un’agenzia del lusso per il lusso (fashion e lifestyle). Con queste parole significative si apre la chiacchierata con Michael Berger e Marco Ravanetti, rispettivamente direttore generale e direttore creativo di OgilvyDeLuxe.

bergerEd è proprio di questa agenzia che andiamo a parlare, una realtà differenziante nel panorama delle agenzie di comunicazione, in quanto specializzata, verticistica e nello stesso tempo sinergica con il Gruppo, nonché aperta alla dimensione internazionale con il network globale di Ogilvy & Mather. «Questa realtà – racconta Berger – è lo sviluppo naturale di un’esperienza che dura da più di 20 anni.

Infatti OgilvyDeLuxe esiste grazie ai brand di alta gamma che nel tempo sono diventati clienti di Ogilvy & Mather Italia e che ci hanno permesso di costruire organicamente un know how molto specifico e un’offerta assolutamente unica».

E così tre anni fa è nata ufficialmente la struttura dedicata al luxury, che oggi include un core team di 7 persone tra creativi, account e planner, a cui si aggiungono le professionalità del network necessarie al progetto, in Italia e nel mondo.

«Chi ci sceglie – specifica il direttore generale dell’agenzia di Wpp – si affida a professionisti tanto specializzati quanto lo sono loro stessi. Abbiamo competenze verticali sul settore, ad alto livello, e concepiamo i migliori progetti. Poi li mettiamo in pratica. Li produciamo. A seconda delle leve che mettiamo in moto ci avvaliamo di altri specialisti all’interno o all’esterno del gruppo.

Facciamo cherry picking! Per le produzioni foto e video ci avvaliamo di RedProduction, per gli eventi ci rivolgiamo a Geometry Global, per l’ecommerce a Soho Square, solo per fare qualche esempio. Inoltre chi sceglie OgilvyDeLuxe lavora con un’agenzia vicina, veloce e competente, che contemporaneamente è in grado di risolvere ogni esigenza di produzione in Italia e nel mondo.

A chi non piacerebbe lavorare in Italia e – magicamente – anche in Cina, Russia, Emirati Arabi e nel resto del pianeta semplificando o annullando del tutto le questioni culturali. Grazie al network di Ogilvy & Mather e ai “nostri” italiani nel mondo, ci accertiamo che lo stile italiano non sia solo un concetto astratto, ma il vero dettaglio che rende unici i nostri marchi e che deve essere comunicato correttamente».

ravanettiAltro aspetto peculiare della struttura specializzata sul lusso è l’approccio al lavoro, che si basa su un’ottica strategica, di consulenza ad ampio spettro.

Non si tratta quindi di fare advertising per la comunicazione di un luxury brand, anzi questa è una leva a volte marginale perché molti marchi parlano a nicchie, ad audience segmentate in giro per il pianeta, che vanno raggiunte con un altro tipo di comunicazione.

L’attività svolta dagli specialisti di OgilvyDeLuxe è quella di analizzare il posizionamento, il branding, il naming, e lavorare su retail, digital, eventi, adv, ecommerce.  Riguardo a quest’ultimo aspetto, «il negozio virtuale – conclude Berger – non deve essere un semplice luogo di acquisto, ma uno strumento di comunicazione.

Da questo concetto nasce il nostro Continuous Commerce™ che considera ecommerce ogni transazione economica digitale e identifica ogni touchpoint che contribuisce alla vendita online (anche se offline) inserendolo in una strategia unica».

Linguaggio che stuzzica il mistero…

Rarefatto, artigianale, sottovoce, raffinato, impalpabile: sono questi alcuni dei termini che Marco Ravanetti cita argomentando sul linguaggio del lusso, sui suoi codici di comunicazione, sulla modalità di presentarsi ma soprattutto di nascondersi al mondo.

«Eh sì, perché un elemento cardine del lusso è l’esclusività – afferma – cioè il senso di appartenenza a pochi, a garanzia dell’eccellenza e della qualità. Non è tanto importante la popolarità quanto la reputazione. Anzi a volte l’eccessiva diffusione di un brand finisce con il renderlo più massificato, privandolo del fascino della rarità, che è un aspetto importante per gli “happy few” che amano scoprire cose nuove, non ancora note ai più.

Aggiungo che il lusso è fatto di seduzione, di fascinazione, di mistero.. Un po’ bisogna dare e un po’ bisogna nascondere, mai scoprire tutto del brand. Infatti la comunicazione dell’haute de gamme cambia notevolmente rispetto a quella del mass market e non solo rispetto ai livelli di consumption, decisamente “low” nella fascia alta del mercato, e alle relative audiences, spesso molto piccole e distribuite in maniera disomogenea ai quattro angoli del pianeta.

Ma soprattutto riguardo all’importanza che la “reputazione” e, in alcuni casi anche la storia, detiene per questi marchi e prodotti. E decisive sono le suggestioni, le atmosfere e le executions con cui la grande maggioranza dei marchi legati al lusso comunicano».

Un approccio che da una parte è strategico – e neutrale – nella scelta dei tools di comunicazione e dall’altra richiede sensibilità raffinate, molto aggiornate e decisamente poco popolari. Ecco perché il mondo del lusso fatica a rivolgersi alle classiche agenzie di pubblicità, necessitando di specializzazione e di sensibilità specifiche. Senza dimenticare che le eccellenze parlano a un pubblico particolare, attento e molto esigente, mai facile da raggiungere e che non ama certe logiche da “minimo comun denominatore” spesso care ai mercati di massa.

«Aggiungerei anche – osserva Ravanetti – che prima di vendere occorre affascinare e sedurre con trattamenti ed execution che non sempre sono nelle corde di molte agenzie classiche. Il gimmick, la trovatina, il giochino di parole, la scorciatoia della provocazione leggera e popolare – e purtroppo a volte anche greve – in questo segmento non hanno grande successo.

Quindi in alcuni casi è la mancanza di competenze, di profondità verticale, di comprensione delle logiche di mercato ad allontanare il lusso dalle agenzie». Ma è possibile per la comunicazione degli “happy few”  avvicinarsi alla gente pur mantenendo l’esclusività, o invece è importante mantenere una distanza? «Non è facile – risponde il direttore creativo di OgilvyDeLuxe – ma è possibile.

Diciamo che questo risultato è un complesso gioco di balances ed equilibri. Ci sono aziende che prediligono un atteggiamento “top down” duro e puro nei confronti della gente. Altre che esibiscono un certo distacco quando trattano di alcuni temi o argomenti, ma estremamente disponibili e “servizievoli” quando si tratta di altri. In generale un pizzico di garbata distanza è necessaria anche per mantenere vivo e interessante il fascino espresso dalla marca.

Ritengo che troppa disponibilità, così come troppa visibilità, possano rappresentare una minaccia reale per un brand che vive di esclusività e seduzione. E da questo punto di vista, sarà molto interessante valutare come in futuro verrà rivalutato l’impatto dei vari social media».

Vanna Assumma

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