Lâ’€’™attimo del coglione

Umberto Domina, scrittore e pubblicitario siculo-milanese, raccolse nel suo libro â’€’œSiamo tutti umoristiâ’€’ (Bietti Editore, 1971) unâ’€’™esilarante campionario di tutto ciò che lui definiva â’€’œumorismo involontarioâ’€’. A rendere lâ’€’™idea del contenuto del volume basta vedere la foto a pagina 37 che mostra un cartello esposto nella vetrina di un negozio torinese. Sul cartello il negoziante aveva fatto stampare il seguente avviso: â’€’œSi fanno borse anche con la pelle dei signori clientiâ’€’.

Me ne sono ricordato qualche sera fa quando, dopo il telegiornale delle venti su La7, è andato in onda lâ’€’™ennesimo break pubblicitario. Tra i tanti spot câ’€’™era anche il nuovo â’€’œGringoâ’€’ realizzato per la carne in scatola Montana che, a mio giudizio, dovrebbe essere indicato come esempio di intelligente valorizzazione dellâ’€’™immagine storica di un brand.

Ho seguito quindi con interesse tutta la scenetta fino al momento del â’€’œcodinoâ’€’ finale in stile caroselliano. Eâ’€’™ stato a quel punto che è scattata la trappola dellâ’€’™umorismo involontario. Ed è scattata perché nellâ’€’™attuale composizione dei blocchi pubblicitari gli spot si susseguono uno dopo lâ’€’™altro con un â’€’œmontaggio al fotogrammaâ’€’.

Vale a dire che non esistono i siparietti del tempo che fu. Per cui alla battuta finale di Gringo è succeduta, senza pausa alcuna, quella iniziale dello spot per la crema Nivea. Il risultato audio è stato il seguente: â’€’œMontana, cento per cento carne da allevamenti italiani salva la tua pelle dalle rughe e dallo stressâ’€¦â’€’.

La prima battuta era recitata da una voce maschile e la seconda da una femminile, ma il ritmo, il tempo e il tono erano uguali al punto da far pensare ad un estemporaneo botta e risposta. Eâ’€’™ probabile che simili, e tutto sommato simpatiche, combinazioni siano rare, ma resta pur sempre il problema dei messaggi pubblicitari che scorrono uno appresso allâ’€’™altro come automobilisti in coda.

Fanno solo una gran confusione. Per ovviarvi basterebbe frapporre qualche fotogramma neutro tra uno spot e lâ’€’™altro, ma non credo sia il caso di chiedere alle emittenti di provvedere in tal senso.

Il tempo per loro è denaro: un singolo fotogramma in â’€’œprime timeâ’€’ vale (a listino) 533 euro; figuriamoci se sono disposti a rinunciarvi per rendere la pubblicità meno stressante e i messaggi più distinguibili.

Mi chiedo invece perché non siano gli addetti ai lavori, agenzie e case di produzione, a cercare soluzioni al problema. Basterebbe che si sintonizzassero sulle emittenti inglesi e americane per trovare spunti a iosa.

Qualcuno obietterà che nessun cliente rinuncerebbe ad un solo attimo del tempo comprato per trasmettere i suoi spot. In questo caso sarebbe utile spiegare al cliente il significato dellâ’€’™espressione â’€’œlâ’€’™Attimo del Coglioneâ’€’, coniata da Umberto Domina: â’€’œEâ’€’™ la frazione di secondo che intercorre tra la comparsa della luce verde del semaforo e il suono del clacson dellâ’€’™automobilista dietro di teâ’€’. Non serve a niente e infastidisce.

Bruno Zerbini

brunozerbini23@gmail.com

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