L’irriverente Vivienne contro la violenza sulle donne

Un incontro felice quello tra Leo Burnett Italia e Vivienne Westwood, perché mentre la stilista britannica cercava qualcosa di innovativo per attirare attenzione intorno al marchio, l’agenzia guidata da Giorgio Brenna ha pensato a un’idea perfettamente in linea con la storia personale della “bad girl” inglese.

La designer dalla chioma rossa, forse la più innovativa degli ultimi 30 anni, è la donna che ha codifi cato il punk insieme a Malcom McLaren, il “creatore” dei Sex Pistols nonché suo marito, attorno al 1977.

La sua vita è costellata da iniziative eclettiche e rivoluzionarie, al punto da farsi conoscere in tutto il mondo e diventare la guru di un nuovo modo di vestirsi, estremamente creativo, a metà tra il barocco e il british.

Una griffe che ha avuto un percorso diverso da quello delle altre maison perché è partita dalla strada, dal punk, per approdare sulle passerelle e nelle vetrine delle high street shopping internazionali.

Sotto la direzione creativa esecutiva di Riccardo Robiglio e Paolo Dematteis, l’agenzia ha voluto valorizzare tutta la ricchezza del brand: «Le abbiamo proposto di fare qualcosa di shockante – affermano i due – perché è nello stile di Vivienne, ha sempre lanciato immagini forti, il punk nasce proprio per shockare».

Così è stato preso un manichino, cioè un oggetto-icona dell’abbigliamento, per trasmettere un messaggio opposto a quello consueto della moda, che di solito si focalizza sul sogno e sull’aspirazione, e proiettare invece le persone nella cruda realtà di una violenza che in Italia capita a una donna su tre. Il manichino infatti è stato tumefatto, escoriato, “violentato”, per essere messo in bella vista nella vetrina del fl agship milanese di Corso Venezia.

Un manichino con segni evidenti di violenza in mezzo a due altri normali, e accanto la scritta “1 donna su 3 è vittima di violenza. Non tacere”. E’ proprio questo che succede in Italia: secondo gli ultimi dati Istat 6 milioni e 743mila donne hanno subito violenza fi sica e sessuale. Tre milioni di donne hanno ricevuto aggressioni durante una relazione o dopo averla troncata. E ogni anno le violenze di mariti, fi danzati o ex portano alla morte oltre 100 donne.

Oltre alle vetrine, è stato allestito in modo spettacolare ed emblematico tutto il building in Corso Venezia: su ognuna delle nove fi nestre sono state applicate gigantografi e retroilluminate di parti del corpo tumefatto, con l’invito a non tacere e la segnalazione del numero verde antiviolenza 1522 e del sito telefono rosa.it.

La comunicazione è durata circa una settimana, a cavallo del 25 novembre, la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. «Abbiamo fatto tutto in 20 giorni – sottolineano Robiglio e Dematteis – e ci hanno dato una grande mano Bedeschi Film per gli allestimenti e le riprese video e il collettore di blogger Populis, infatti grazie a una trentina di blogger che sono venuti a vedere l’ambient abbiamo ottenuto molte video interviste e buzz online.

La comunicazione per il brand andrà avanti, adesso abbiamo costruito un “case” affinché la maison possa portare questo progetto a livello internazionale, e un video virale. Sui prossimi sviluppi ci stiamo lavorando, chissà se durante le sfilate riusciremo a portare in passerella delle modelle tumefatte…

Quello che è certo è che non lavoreremo sull’advertising classico ma svilupperemo eventi e iniziative digitali. La vetrina può diventare uno splendido media e infatti lo è diventato, trasformandosi in un potente punto di contatto con le persone.

Ciò che è importante e non scontato per la moda – ricordano i due direttori creativi esecutivi di Leo Burnett – è far vivere il brand a contatto con le persone, riflettendo le loro istanze sociali.

Certo non è facile parlare alla gente “normale” e conservare tutti i tratti distintivi dell’alta moda, l’esclusività che è propria delle griffe. Il nostro obiettivo è stato quello di far diventare rilevante Vivienne Westwood anche a persone che non hanno mai considerato questo brand, e che adesso hanno una percezione della marca nuova, più attuale, dinamica e soprattutto vicina alla gente.

E’ finito il tempo dell’arroccamento nella torre d’avorio, le marche del lusso devono fare i conti con la società civile. Non basta più pianificare una paginetta con un bel vestito e un fotografo di grido, anche perché i luxury brand cominciano a capire che l’avvicinamento alle persone non abbassa ma al contrario alza la loro percezione».

Vanna Assumma 

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