Quando le immagini troppo realistiche sono giustificate

Il Comitato di Controllo ha sottoposto al Giurì di Autodisciplina il telecomunicato diffuso dalla Fondazione Operation Smile Italia Onlus ritenendolo in contrasto con l’art. 46 del Codice di Autodisciplina, che regola i c.d. “appelli al pubblico”, ossia quei messaggi aventi lo scopo di sensibilizzare la collettività su temi di interesse sociale.

In sostanza, il Comitato di Controllo lamentava l’eccessiva crudezza nel raffigurare i bambini affetti dalla malformazione genetica denominata palatoschisi.

La finalità dello spot era costituita dal sollecitare una raccolta di fondi per permettere di sottoporre i bambini affetti da questa patologia ad un intervento di chirurgia plastica, in grado di risolvere il grave problema. 

Il Comitato di Controllo, in particolare, segnalava l’utilizzo di immagini crude (la raffigurazione, appunto, di bambini affetti dalla malformazione seriamente deturpante), immagini che avrebbero potuto turbare un pubblico di minori, benché si desse atto non essere mai stato il telecomunicato diffuso durante le fasce protette.

Secondo il Comitato, inoltre, il telecomunicato avrebbe indotto disagio e senso di colpa in coloro che non volessero aderire all’ appello, violando l’art. 46 C.A. anche sotto questo profilo. 
Fortunatamente, il Giurì non ha accolto la tesi del Comitato, sulla base di alcune considerazioni.

Innanzi tutto, si è evidenziato quanto il messaggio fosse funzionale al raggiungimento dello scopo, ossia informare che, non ostante la gravità della malformazione, essa è risolvibile attraverso un intervento chirurgico, effettuato a costi ragionevoli, trattamento al quale la Fondazione mira.

Il Giurì ha anche riconosciuto che la scelta di utilizzare un linguaggio “forte” per informare il pubblico è stata determinata dalla necessità di far conoscere un’infermità di cui, nella maggior parte dei casi, non si conosce l’esistenza o comunque sulla quale poco ci si sofferma, ben diverso essendo il caso in cui un medesimo linguaggio sia, invece, usato per scopi commerciali e magari anche con maggiore ostentazione.

Il Giurì ha poi considerato che non si può aprioristicamente ritenere offensiva la rappresentazione di un’infermità, se ciò è funzionale a fi ni terapeutici. Ha anche osservato che la diffusione della conoscenza dei problemi, anche attraverso le immagini, ha permesso di familiarizzare con gli stessi e che la rappresentazione della malattia non è offensiva della dignità della persona, ma è idonea a rivelare la fragilità umana.

Il Giurì ha quindi concluso, con saggezza, che il messaggio esaminato non si è posto in contrasto con il Codice di Autodisciplina. Mi domando che cosa sarebbe successo se lo spot fosse stato giudicato in contrasto con il codice e fosse stato ritenuto lesivo della dignità umana o tendente a colpevolizzare chi non volesse aderire all’appello.

Si sarebbe messa a tacere una causa giusta, supportata da un motivo valido, costituito dalla sensibilizzazione del pubblico, sia pure con immagini molto realistiche, su un problema grave, ma con una possibile soluzione positiva, se supportata dai mezzi necessari. Sarebbe stato davvero un peccato.

Per altro, lo stesso legislatore autodisciplinare ha previsto, nell’art. 46 del Codice, che la miseria umana non sia indebitamente” sfruttata e che non siano ingenerati “ingiustificatamente” allarmismi e sentimenti di paura o di grave turbamento, con ciò autorizzando gli appelli al pubblico che debitamente facciano leva sulla miseria umana al fi ne di comprendere un problema e che generino un allarme giustificatamente.
 

Fiammetta Malagoli

malagoli@studiolegalemalagoli.it

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