Instant Bullshit

â’€’œLa gatta frettolosa partorisce gattini ciechiâ’€’. Col senno di poi si può dire che lâ’€’™antico proverbio ha trovato unâ’€’™inaspettata conferma nel pomeriggio del 25 febbraio scorso. Tutti ricorderanno infatti che quel giorno, dopo la chiusura dei seggi elettorali, le televisioni, le radio e i giornali online fecero a gara per arrivare per primi a diffondere i risultati rilevati con gli â’€’œinstant pollâ’€’.

E
câ’€’™Ã¨ stato chi, essendo riuscito a precedere la concorrenza per qualche decimo di secondo, ha esultato come se avesse stabilito il nuovo record mondiale sui cento metri. Ora che tutti sappiamo comâ’€’™Ã¨ andata a finire la faccenda, e cioè che i numeri divulgati con tanta avventatezza erano completamente sballati, la domanda, come direbbe Corrado Augias, sorge spontanea: ma era proprio necessario mettere in scena tutto quel can-can, sapendo benissimo che lâ’€’™attendibilità dei sondaggi realizzati allâ’€’™uscita dei seggi elettorali è pressoché nulla?

Qualcuno, a ragione, potrebbe obiettare che negli Stati Uniti, dove gli â’€’œexit pollâ’€’ sono stati inventati, funzionano benissimo. I margini di errore sono previsti e, alla fi ne, punto più punto meno, i conti quadrano.

Negli Stati Uniti forse, ma qui siamo in Italia: noi mica ce lâ’€’™abbiamo lâ’€’™etica anglosassone. Anzi, se fuori dal seggio ci aggancia un intervistatore di Piepoli e ci domanda per chi abbiamo votato, prima di aprir bocca valutiamo attentamente quale sia la risposta più conveniente da dare.

Possiano indicare il nome di Tizio o quello di Caio quando in realtà abbiamo scelto Sempronio. Perché lo facciamo? Semplice, perché â’€’œCcà nisciuno è fesso!â’€’ e, più che allâ’€’™etica, noi badiamo allâ’€’™etichetta. Ma torniamo alla domanda.

A chi ha giovato fare le corse per diffondere caterve di dati farlocchi, con il rischio di provocare crisi cardiache ai sostenitori delle diverse fazioni politiche? Le risposte possono variare a seconda dei punti di vista. Per il cosiddetto â’€’œCirco mediaticoâ’€’, televisioni in testa, è stato senzâ’€’™altro molto vantaggioso.

Avendo programmato trasmissioni monstre, con giornalisti, politici e tuttologi vari, invitati a dozzine sui loro set super tecnologici, il problema non poteva che essere quello di portare legna secca al fuoco della discussione ed evitare che il pubblico annoiato cambiasse canale.

Qualche profitto, nellâ’€’™ordine di alcuni miliardi di euro, devono averlo tratto anche i gambler della finanza che sanno destreggiarsi nel frenetico saliscendi della borsa e dello â’€’œspreadâ’€’. Gli Istituti di Ricerca invece, quelli che tanto maldestramente hanno realizzato gli â’€’œexit pollâ’€’, a parte qualche pugno di dollari, ci hanno guadagnato solo una gran brutta fi gura.

Uno smacco tale che il filosofo tedesco Gottfried Achenwall, colui che, nel XVIII secolo, definì la â’€’œdisciplina statisticaâ’€’ come la â’€’œscienza deputata a raccogliere dati utili per governare meglioâ’€’ deve essersi rivoltato nella tomba.

Dâ’€’™ora in poi, per rispetto alla sua memoria, i sondaggisti nostrani dovranno ponderare meglio la composizione dei loro campioni, escludendo gli individui geneticamente portati a sparar â’€’œbullshitâ’€’.

E si prendano pure tutto il tempo necessario: noi siamo più che disposti ad attendere che il Viminale ci comunichi i dati reali.

Bruno Zerbini

bruno@brunozerbini.com

Fondatore della Bruno Zerbini & Partners, è stato international creative director presso Pubbliregia house agency di Ferrero e vice presidente Unicom. 

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