Comunicazione politica: Servizio Pubblico Show

In risposta al corsivo di Lorenzo Strona apparso su Pubblico Today del 15/01/13, dal titolo “Beati monoculi in terra caecorum”.

Dopo aver letto l’intervento di Lorenzo Strona, mi sono lasciato andare ad una riflessione che riguarda non tanto l’opinione di Lorenzo sul risultato del match “Santoro vs Berlusconi”, il quale, secondo Strona, sarebbe stato vinto per KO tecnico dal campione in carica, quanto sulla particolarità della cosiddetta comunicazione politica, messa a confronto con quella destinata a promuovere l’off erta di beni e servizi. In linea del tutto teorica, verrebbe da dire che entrambe perseguono lo stesso obiettivo: orientare le scelte del target di riferimento a favore dell’oggetto proposto dal soggetto comunicante.

In un mercato maturo com’è il nostro, caratterizzato da un’elevata quantità di soggetti concorrenti, e da progetti/prodotti molto simili tra loro, la qualità della comunicazione dovrebbe qualificarsi come fattore discriminante delle scelte e, per conseguenza, l’unica leva idonea a determinare il successo.

Evito di dilungarmi sull’elenco delle affinità esistenti tra la comunicazione politica e quella “commerciale” e mi soffermo sulle differenze che si riscontrano nella pratica quotidiana e che, per molti aspetti, dovrebbero interessare i professionisti della comunicazione.

La diff erenza più evidente riguarda il contesto normativo che regola la competizione tra i diversi contendenti. Mentre per la comunicazione commerciale sono previste, oltre a quelle presenti nel Codice Civile, le norme di comportamento inserite nel “Codice di Autodisciplina Pubblicitaria” – regole obbligatorie che sanzionano la veicolazione dei cosiddetti messaggi “ingannevoli” e ogni forma di concorrenza sleale – nessuna di queste limitazioni viene imposta alla comunicazione politica. Qui ad ognuno è concesso di fare e di dire quello che vuole.

Perché, come si dice in giro: “Tanto, saranno poi i cittadini-elettori a decidere”. Ma è proprio chiamando in causa il “cittadino” che viene fuori l’altra differenza tra i due tipi di comunicazione, e cioè: quando il “cittadinoelettore” diventa “cittadinoconsumatore”.

Cosa succede nel caso in cui il “cittadinoconsumatore”, dopo aver acquistato un prodotto convinto da un messaggio pubblicitario particolarmente efficace, lo prova e trova che le promesse contenute in quel messaggio erano fasulle?

Semplice: butta via il prodotto e non lo ricompra neanche se lo torturano. Il “cittadino-elettore”, invece, di fronte alla comunicazione politica ingannevole e alle promesse non mantenute, sembra essere molto più tollerante e, come suggerisce Strona, quasi sempre disposto al perdono.

Naturalmente il caso Berlusconi non è il solo esempio citabile, anche se, al momento, mi sembra il più eclatante. Last but not least, la differenza derivante dall’atteggiamento dei mass-media. Per questo soggetto, fondamentale nella filiera della comunicazione, la principale fonte di profitto è la comunicazione commerciale, la pubblicità. Acquisire i budgets degli inserzionisti è l’obiettivo che viene perseguito primo fra tutti.

E, visto che il valore economico dei media si misura sul numero di contatti, che questo numero cresce in ragione del gradimento del contenuto del mezzo da parte del pubblico (“cittadini-spettatori/lettori”) e che il pubblico, soprattutto quello della televisione, predilige i programmi che promettono emozioni forti, ecco che il cerchio si chiude.

La comunicazione politica sceglie di diventare spettacolo, creato e prodotto nei diversi format: cabarettistico, sentimentale o grandguignolesco, a piacere. Non so a quale format faccia riferimento il match “Santoro vs Berlusconi” citato da Strona, la cosa più evidente è che l’incontro si è svolto secondo un copione scritto apposta per far guadagnare audience all’emittente e qualche possibilità in più per Santoro di continuare a fare il suo talk show.

Una fiction a fi ne di lucro con Berlusconi nel ruolo a lui tanto caro della “simpatica canaglia”. Vista così la faccenda mi viene da pensare che tra la comunicazione politica e quella commerciale, salvo errori ed omissioni, ci ben sia poco in comune. E questa constatazione, in un certo senso, dovrebbe essere di conforto per tutti quelli che esercitano la professione del pubblicitario perché non dovranno più mentire alla propria madre dicendo che suonano il piano in un bordello. In fondo: in terra di orbi beato è colui che ci vede bene.

Bruno Zerbini

bruno@brunozerbini.com

Fondatore della Bruno Zerbini & Partners, è stato international creative director presso Pubbliregia house agency di Ferrero e vice presidente Unicom 

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