Io Confesso

Okey, lo confesso: c’ero anch’io dentro quel giro. Addict nel vero senso della parola forse no, ma dentro fino al collo c’ero eccome.

E non è detto che oggi, nonostante il lungo periodo di forzosa astinenza, sia sicuro al cento per cento di esserne completamente fuori.

Molte cose sono cambiate da quando ero poco più di un ragazzo, mi trovai quasi per caso a dover condividere lo spazio disadorno chiamato eufemisticamente “reparto creativo” con gente più grande ed esperta di me a trascorrere interminabili giornate uno accanto all’altro, letteralmente a contatto di gomito, divisi soltanto dalle piramidi di cartone ricolme di Magic Markers e dai barattoli bianchi e rossi di Cow Gum.

A me, sbarbato scriptwriter, era tassativamente vietato toccare quelle cose che solo gli art e i visualizer avevano in dotazione, ma, anche se avessi voluto farlo, sarebbe stato impossibile astenermi dall’inalare acidi come l’eptano e il toluene usati da Paul Van Cleef nel 1900 per fluidificare il lattice della sua Cow Gum o lo xilene e l’acetone che fuoriusciva dai tubetti di vetro dei Magic Markers.

Ogni giorno, scavalcando con lo sguardo il carrello della mia Remington, potevo vedere il flusso dell’inchiostro spandersi sui fogli in campiture nette e tratti perentori che lasciavano trasparire i disegni tracciati a matita.

E mentre l’odore intenso degli acidi saliva di intensità fino a stordirmi osservavo estasiato le immagini dei layouts che prendevano lentamente forma.

A volte era il viso sorridente di un uomo immerso nell’acqua fino alle spalle, con il dito che indicava una macchia di unto sul colletto della camicia e, in basso, la confezione del detersivo capace di eliminare anche lo sporco impossibile.

Altre volte era il ritratto di due innamorati raggianti perché un famoso dentifricio a base di monofluorofosfato gli aveva fatto spuntare un fiore in bocca.

Invidiavo la sicurezza con cui Roberto Suardi, Gianni Maiotti e Gian Mario Scuratti maneggiavano quei “magici” tubetti di vetro, alternando i colori dai più chiari ai più scuri, usando quelli dalla punta ormai secca per le sfumature e la tempera bianca per i colpi di luce.

Rimanevo incantato a vederli comporre le headline con l’inchiostro di china copiando le lettere una ad una da vecchie riviste ormai ingiallite e riempire con segni minuti e sinuosi gli spazi destinati alla bodycopy.

Osservare da vicino la realizzazione del layout di un annuncio o di un manifesto era per me un’esperienza esaltante che raggiungeva il suo acme quando mi si chiedeva di intervenire nella delicata fase della “scaccolatura” che consisteva nel rimuovere l’eccedenza di Cow Gum sbordante ai lati dei fogli montati sui supporti di cartone.

Caccole che trasformavo in palline grigiastre da rotolare tra le dita e da avvicinare alle narici per aspirarne l’ultimo residuo di toluene.

Bruno Zerbini

bruno@brunozerbini.com 

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