PER LA PUBBLICITÀ, MA CONTRO CERTI PUBBLICITARI

Mi occupo da molti anni di comunicazione in senso lato, sottolineando l’importanza di difenderla dalle incursioni inopportune di chi si autocelebra produttore di contenuti nel campo della pubblicità e in quello dell’informazione in generale. L’ambito pubblicitario è quello in cui è purtroppo più frequente che accada che la produzione di contenuti “capiti” in mano a persone che ne travisano la funzione e il potere, svuotando il loro lavoro di significati, con l’unico effetto di trasmettere appunto il vuoto. Quando per esempio commento pubblicità che, per il mio parere in controtendenza e tuttavia sempre professionale, meritano il pollice verso, ricevo spesso (e volentieri direi) commenti di personaggi più o meno titolati per intervenire che tendono a definirmi come “censore retrogrado e fuori luogo”. Spesso faccio finta di non averli letti, anche se in realtà li leggo volentieri perché mi danno conferma di quanta impreparazione ci sia in circolazione. Sono in molti purtroppo che, davanti alla mia critica su un determinato messaggio pubblicitario che contiene semi di violenza o volgarità, dimostrano di essere fermi all’idea benaltrista che c’è sempre qualcosa di peggio… Ma il fatto è che la pubblicità è uno strumento invasivo che ha degli obiettivi che ne producono anche altri di collaterali. Guardo il particolare e parlo della pubblicità criticandone l’insipienza, la stupidità, la violenza, l’inopportunità e il vuoto che troppo spesso trasmette. Chi fosse in grado di approfondire autonomamente gli effetti collaterali della pubblicità si accorgerebbe che il degrado mentale e culturale di molti (giovani e adulti) deriva (anche) dall’influenza che certa pubblicità ha su di loro. Da anni contesto l’operato di colleghi che faccio fatica a ritenere tali perché pagati per costruire e divulgare scempiaggini. Personalmente e professionalmente mi occupo del prossimo che non mi paga per farlo. Chi paga il mio lavoro sono invece le aziende (le persone che ci lavorano) che comprendono l’importanza di farsi affiancare da chi è attento (anche iper attento, se si preferisce) agli effetti collaterali possibili. I messaggi pubblicitari spesso contengono gestualità promosse indebitamente. E in quei casi ci troviamo davanti ad una forma di “educazione all’assorbimento di atteggiamenti che rischiano di essere ripetuti in altre forme e in altri contesti”. Se ci guardiamo intorno dovrebbe essere istintivo interrogarsi sul motivo per cui aumentano il bullismo e la violenza in età sempre più basse (non parliamo poi di persone adulte). A furia di giustificare certi sedicenti “virtuosismi creativi” si può arrivare a chiamare “operazioni speciali” violenze di ogni tipo. Nel mio mestiere il pelo dell’uovo va trovato e tolto, perché rende l’uovo immangiabile e perché tutto è importante per via del fatto che ogni cosa si somma alle altre. E se ci si guarda intorno dovremmo accorgerci che non è tutto così rosa e che crescono sia l’analfabetismo che la violenza (temi che vanno a braccetto). Non siamo tutti uguali e chi fa un mestiere delicato, come quello del comunicatore, con la leggerezza di un elefante, dovrebbe cambiare mestiere invece che gareggiare per chi è più stupido e quindi anche destinatario di premi particolari che il comparto ahimè gli riserva. Per esperienza so che certe leggerezze hanno creato e creano emarginazione sociale. Si è diffusa e amplificata la carenza di spirito critico, che si somma ad un’endemica aridità di sensibilità sociale, nonostante sia evidente che queste carenze portano al degrado generale e a condizioni che consentono l’attecchimento di logiche che si manifestano anche quando si va a votare. Ogni spot è commissionato, pensato, realizzato e diffuso da persone (poche). E viene visto e anche assorbito in modo variabile sempre da persone (tantissime) e quindi certi temi di critica vanno affrontati con particolare nettezza perché riguardano (ahimè) un travaso di “cultura” che avviene anche nelle pieghe di ogni contenuto divulgato a pochi o tanti. Certi temi non ammettono superficialità. Un conto è parlare fra di noi “al bar” e un conto è produrre contenuti che arrivano a milioni di persone di ogni tipo, facendolo con leggerezza. La pubblicità è uno strumento utilissimo che sempre più di frequente viene però messo nelle mani di persone inadatte a svolgere un ruolo di informazione e che scambiano la pubblicità con il personale parco giochi (pagato dal cliente). Chi fa pubblicità in modo serio dovrebbe essere attento a non ledere le sensibilità del pubblico. Fatevi “un giro” nel sito dello IAP e nel suo codice di autodisciplina e riflettete sul fatto che, se esiste un tale istituto, significa che il comparto è consapevole di essere popolato da persone che tendono a “farla fuori dal vaso”. Essere seri non significa non concedersi divertimento, bensì di saperlo fare senza ledere sensibilità altrui. Non è facile, ma a volta basta poco. Si comincia con l’imparare dai bambini che le fatine non vanno soppresse e si finisce con il comprendere che nessuno deve subire quei trattamenti. Neanche per scherzo.

Pietro Greppi

ethic advisor e fondatore di Scarp de’ tenis

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

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