PER L’ETICA IN COMUNICAZIONE SERVE “UN PENNELLO GRANDE O UN GRANDE PENNELLO?”

La citazione usata nel titolo è di una campagna, molto nota a chi ha la mia età, che oggi viene ormai utilizzata solo come metafora o come esempio di sintesi. Come sto per fare io. In sostanza la metafora intende indicare l’importanza della qualità di ciò che si usa e non delle sue dimensioni. E passando dalla metafora al tema dell’etica, vale la pena sottolineare che, per produrre contenuti eticamente sostenibili, è opportuno ricorrere a figure di grande spessore evitando di confonderle con figure di grande notorietà. Perché? Un consulente per l’etica in comunicazione è una figura oggettivamente rara, perché esistono i sedicenti e i praticanti… e chi non ha la giusta sensibilità potrebbe confonderli. Ma trovando il “reale” professionista, seriamente impegnato nel suo compito, è facile riuscire ad apprezzare il fatto che, pur essendo una figura terza, lei/lui consente all’azienda di non abdicare alcuna competenza all’esterno per avere importanti soluzioni, ma anche e soprattutto un conforto, un supporto, un indirizzo, un parere autorevole e -fattore per niente trascurabile– indipendente e non condizionato dai tipici fattori che agiscono, anche involontariamente, su chi è “nell’azienda”. Il consulente per l’etica -o ethic advisor- ha una competenza di livello in grado di aiutare le aziende a “tenere la barra dritta” anche in presenza di affidamento di particolari incarichi ad agenzie diverse, le quali potranno venire osservate dal consulente con occhi neutrali e non condizionati e tuttavia sempre rivolti a tutelare la reputazione dell’azienda. Tramite il consulente per l’etica, l’azienda, oltre ovviamente al tema dell’etica, può integrare anche altre competenze mancanti ottenendo un valido supporto superpartes che affianca e dà forza al vertice aziendale. Questo genere di consulente è infatti consigliabile venga considerato come fosse “parte del consiglio di amministrazione”, potendo trattare tutti i temi di sua competenza, come ad esempio la formulazione della politica, le scelte strategiche, la supervisione generale e il controllo della comunicazione. L’unica differenza, “rassicurante” per il board, è che il consulente non è esecutivo, non svolge funzioni direttive, ma agisce da opinionista, suggeritore, esortatore… Per l’azienda questo rappresenta un grande vantaggio. Inoltre, il consulente per l’etica ha esperienza, sensibilità e competenze rilevanti nell’applicazione e identificazione di paradigmi etici e li condivide con la direzione, ma è discreto e trasparente. Sostiene, ma non decide, dal momento che non ne ha l’autorità. La sua guida dal punto di vista etico rappresenta un forte valore aggiunto, altrimenti difficilmente reperibile, che può portare benefici durevoli altrimenti ottenibili con artifici di dubbia trasparenza che potrebbero incidere negativamente sulla reputazione dell’azienda. Nel settore della comunicazione lo IAP è un ente che merita plauso a questo proposito, ma testimonia anche con i suoi stessi numerosi interventi (e proprio per questo) una situazione di operatori del settore che spingono però nel senso opposto all’etica. A questo dato di fatto va aggiunto che, giusto per fare degli esempi, non c’è nulla di professionale, né di etico, nel proporre ad un cliente X una modella o un modello ammiccante per qualunque prodotto. Così com’è poco edificante continuare a sprecare le risorse dei clienti, spostandole verso le tasche dei soliti noti dello star system (?) o simili, con teatrini poco credibili e comunque palesemente forzati e troppo spesso veicolanti modelli che sdoganano comportamenti e atteggiamenti non certo da imitare. Non si confonda però questo giudizio come perbenismo e neppure come sintomo di estremismo moralista. È semplicemente un invito alla serietà. Materia con cui si possono costruire rinascite insospettabili. Un esempio positivo, ormai dimenticato, è quello che qualche anno fa ebbe Barilla come protagonista, quando ritirò i suoi spot dai reality. Non voleva aver nulla a che fare con luoghi della volgarità nonostante fossero “casa” anche quei reality. Sarebbe stata una grande conquista professionale se il settore ne avesse tratto spunto, replicando e amplificando quel significato e quel segnale usandoli come “prima pietra” su cui ricostruire il senso del comunicare. Etica come rispetto dell’altro: questo è il punto. Da dire ce n’è …. e da fare altrettanto.

Pietro Greppi

ethic advisor e fondatore di Scarp de tenis

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

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