CARI COLLEGHI PUBBLICITARI, REPETITA IUVANT

Rieccomi per l’ennesima volta a sollevare il tema dell’etica in comunicazione. Ritengo sia utile ripetersi. E il settore mi auguro riconosca la rilevanza del tema e almeno condivida che, come la pubblicità insegna e dimostra, ripetere spesso il medesimo messaggio aiuta a farlo arrivare e sperabilmente ricordare. È un tema che da sempre considero una necessità che oggi è però assurto ad emergenza. Già anni orsono, quando ero attivo in un’associazione di categoria non più operante, invitai a considerare l’opportunità di un seminario itinerante lungo l’Italia, tramite il quale diffondere sensibilizzazione verso vie eticamente sostenibili per produrre contenuti nella comunicazione che contribuiscano sì allo sviluppo delle imprese, ma usando un nuovo semplice paradigma: quello dell’approccio etico appunto. Ma tutti a chiedersi cosa questo significhi e come sia possibile parlare di etica quando il sistema della comunicazione commerciale non ha mai considerato questo punto come necessario. Questo un po’ di anni fa. E oggi? Come dicono i romani… “Siamo da capo a 12”.

Dell’etica, insieme all’importanza di mantenere un dialogo fra profit e non profit, sono molto probabilmente (quasi certamente) il primo assiduo “portatore” che ha “osato” suggerirne l’approfondimento su cui fondare la rinascita della professione del comunicatore e della pubblicità in genere. Intendo anche chiarire che questa non va letta come “strategia” opportunista, ma sincera convinzione professionale e personale che invito a considerare in questo modo chiunque vi si avvicina. Comunque sia è un dato di fatto che è solo dopo il mio warning di alcuni anni fa, che molti hanno cominciato a parlare di etica, troppi però senza cognizione di causa, spesso facendo confusione o confondendo l’etica personale con la deontologia e semmai per affermare una tendenza, che è il tipico stile del comparto della comunicazione da cui io desidero però distinguermi salendo di un gradino non per presunzione, ma per segnare la differenza di significato e di valore. A distanza di anni credo di poter affermare che se l’associazione di cui ho fatto parte avesse scelto di manifestare e argomentare un proprio posizionamento su questo tema… mi piace pensare che quell’associazione “sarebbe ancora” e sarebbe anche un punto di riferimento per il settore come apripista di una rinascita che ancora oggi è di là da venire. Oggi mi piacerebbe che il mondo della comunicazione sapesse finalmente esprimere un mea culpa e che dichiarasse le debolezze del comparto che, a mio parere, continua a sfornare numerose dimostrazioni di vuoto, spesso malamente riempito con stereotipi triti, ritriti e spesso offensivi (l’offesa più grave è però quella fatta all’intelligenza del pubblico). Solo per esempio, se il mondo femminile ti dice che è stanco di veder strumentalizzare la loro figura (appello che giunge ai pubblicitari da anni) il comparto dovrebbe prenderne atto e usare tutta l’autorevolezza delle sue figure di riferimento (?) per bacchettare i colleghi, fra i quali contiamo certo grandi professionisti, ma anche molti cialtroni e parolai. Figure che a volte purtroppo coincidono. Sono molti anni che, consapevole che un’unica persona priva di sufficienti mezzi e di altrettanto seguito fa oggettivamente fatica a lasciare un segno in un settore che sembra amare lo spreco di denaro, cerco di stimolare i colleghi a fare il salto di qualità parlando e diffondendo una cultura etica nei professionisti. Ma non per moda e nemmeno per creare una tendenza, bensì per elevare lo spessore di una professione che, a mio parere, non ha altrimenti più nulla da dare, se non le sue repliche più o meno tecnologiche e tuttavia sempre più noiose e vuote. E sono consapevole che il processo richieda tempo, perché si tratta di “cambiar dieta” e soprattutto perché è necessario sentire la responsabilità che ricade sul proprio lavoro, credendoci e assimilando nuove consapevolezze. Essere attenti all’etica (intesa come il rispetto dell’altro) non deve spaventare, perché è l’unico modo per rendere migliore ogni cosa: il lavoro, le relazioni, i contenuti, la convivenza, la consapevolezza, sé stessi, la comunità in cui si vive (piccola o grande che sia) e certamente anche i risultati …

Pietro Greppi

ethical advisor e fondatore di Scarp de tenis

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

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