PAVLOV. L’ETOLOGO CHE ISPIRÒ I PUBBLICITARI

Molti pubblicitari, quasi tutti, per sostenere l’assennatezza delle scelte comunicative che producono per i loro clienti, affermano che la pubblicità rispecchia semplicemente gli atteggiamenti e i valori della cultura circostante. Loro – dicono – si limitano ad assecondarli. Non è un mistero che la mia visione in merito è diametralmente opposta. E non è neppure propriamente una visione, perché, se c’è una cosa che la dimensione globale del sistema pubblicitario fa oggettivamente e concretamente è proprio quella di costruire a tavolino valori e personalità inconsistenti, artificiali e, quel che è peggio, pericolose per gli individui fragili, ingenui e poco acculturati. Le persone in tali condizioni di fragilità sono purtroppo in “vantaggio” numerico … ed è proprio questo che, ahimè, determina in larga parte la fortuna commerciale delle aziende e dei loro consulenti pubblicitari che con buona evidenza contano, più o meno consapevolmente, soprattutto su queste carenze di personalità e sulla scarsa abitudine dei più a osservare con un sano spirito critico ciò che ci circonda. Il pubblicitario tipo, usando la forza della ripetizione data alla pubblicità dalle disponibilità economiche di un cliente, quale che sia il prodotto o il servizio, sfrutta quella vecchia “scoperta” fatta dall’etologo Ivan Pavlov che, studiando i comportamenti animali, aveva verificato che, associando per un certo numero di volte la presentazione di carne ad un cane con un suono di campanello, alla fine anche il solo suono del campanello determinava la salivazione nel cane, indotta quindi da un riflesso condizionato provocato artificialmente con la ripetizione di quell’evento. Accade esattamente così anche con gli spot e la comunicazione commerciale in genere rivolta al pubblico degli “umani”.

 “Senza dubbio la pubblicità, come gli strumenti di comunicazione sociale in generale, funge da specchio. Ma, come i media in generale, contribuisce anche a modellare la realtà che riflette e talvolta ne presenta un’immagine distorta.” Questo virgolettato è tratto da un passo di ETICA NELLA PUBBLICITÀ – Curia Pontificia del 22 febbraio 1997. La religione non c’entra. C’entra invece la capacità di osservare con spirito critico (lo ripeto) i comportamenti di chi studia i comportamenti dei suoi simili.

In questo periodo alcune certezze sono messe in crisi dagli eventi e dai comportamenti di chi ci circonda. Osservate e tenete conto dell’uso della retorica che molti fanno.  La ragione diventa un paravento, un alibi per giustificare la cultura dell’indifferenza, il tentativo di nascondere l’irrinunciabile responsabilità morale che dovrebbe invece costringere ad affrontare problemi autentici, reali, contingenti e derivanti proprio da un uso protratto di approcci irresponsabili che si sono diffusi nella società che abbiamo contribuito a costruire.

A che pro parlare di questo? Il pro è sempre il medesimo: argomentare l’importanza di fare scelte utili, inclusive, salvifiche, generative. Smettere di produrre modelli artificiali. Invitare a usare la condivisione e la trasparenza. Imparare a dire, ma soprattutto a credere, che “IO E TE SIAMO PARI” in ogni contesto sia di genere, sia di etnia, sia di condizione fisica. In questo la pubblicità potrebbe anche agire con una certa facilità perché già ora veniamo –per scopi puramente commerciali- considerati tutti come potenziali strumenti di consumo sempre più uguale. Basterebbe usare la stessa forza per agire sulle disuguaglianze che produciamo noi stessi nella vita reale. Aziende, agenzie (le persone che le abitano) e professionisti in genere prima di questo periodo di condivisione universale di un problema non avvertivano la necessità di riflettere davvero su cosa significhi essere uguali: ora il momento è favorevole per attuare un cambio di paradigma. La crisi del sistema conosciuto fino ad oggi, alimenta senza sosta la crisi dei valori delle persone che oggi sono più permeabili ad accogliere suggerimenti di buon senso così come a rifiutare quelli palesemente vacui. Sensibilizzare comportamenti di condivisione e agevolare cooperazioni per realizzare e sostenere opere e servizi di pubblica utilità attualmente carenti … possiamo cominciare a farlo? Immagino aziende che aiutano chi le aiuterà a crescere. Vogliamo cominciare adesso a farci ispirare da un campanello diverso?

Pietro Greppi

ethical advisor e fondatore di Scarp de tenis

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *