NOI DONIAMO SE TU COMPRI

Sull’onda dell’idea distorta che alcuni hanno su cosa sia il “socialmente responsabile”, si sta diffondendo -come fosse una moda- una pessima, ridicola, vergognosa pratica di alcune aziende, anche di ragguardevoli dimensioni, che, spinte da motivazioni apparentemente di stampo sociale (ma nei fatti solo opportuniste), spingono le vendite dei loro prodotti dichiarando che, a fronte di ogni “tuo” acquisto, “loro” provvederanno a donare etc.. Il modello applicato è in sostanza “noi doniamo se tu compri”. Fra queste iniziative si distinguono in particolare quelle che parlano alla pancia in senso stretto e agiscono sui sensi di colpa di chi può mangiare senza doversi preoccupare di cosa significa avere accesso al cibo. Da qualche anno quindi fa tendenza donare “pasti, colazioni, piatti di riso o apporti calorici” … parole che oggettivamente hanno un che di vago. Chi volesse capire a cosa corrispondono questi termini generici deve mettersi “di buzzo buono” e fare una certa fatica. Deve per esempio sapere che (per legge) ciò che viene dichiarato a scopi commerciali deve anche essere descritto “da qualche parte” in modo esplicito, preciso e chiaro. Non viene richiesta l’evidenza immediata. Per “sapere” è necessario armarsi di curiosità e pazienza. Le informazioni poi le trovi, con fatica, sempre “nascoste” in testi scritti in piccolo, con rimandi asteriscati o in documenti legali relativi all’operazione in corso. Quelli che scrivono queste cose devono scriverle, ma si nota che lo fanno con una certa riluttanza, giustificata da mancanza di spazio o da supposti disturbi alla “grafica” cui si presta più attenzione che alla sostanza (caratteristica tipica dell’approccio superficiale della pubblicità. ndr). L’intenzione palese è quella di mettere in evidenza la generosità del dichiarante (la marca) sotto roboanti diciture come quella di CSR-Responsabilità sociale d’impresa. Troppo spesso parole più grandi del gesto, supposte “generosità” condizionate ad un acquisto, ma significa che sei tu che compri a donare, sia all’azienda che al ricevente il dono. L’azienda si fa da tramite e il dono appare così una “rinuncia” a parte del suo guadagno! Un tuo sacrificio diventa il suo!! Ma torniamo ai pasti. Senza fare nomi (sarebbero tanti, altrimenti che “moda” sarebbe), riporto un esempio reale citando solo i numeri coinvolti invitando, anche voi che leggete, a fare qualche calcolo per capire come con numeri e parole opportunamente mescolati si possa dare l’impressione di fare tanto, pur facendo poco. Scovando e seguendo gli asterischi, intercettando (su internet) i documenti obbligatori, aprendoli e leggendoli  trovi ad esempio che “un pasto” vale (conti evidentemente fatti non da persone come Cracco) a 0.07 euro (circa 136 delle vecchie lire) che corrispondono al rimborso dei costi sostenuti dall’associazione che si incarica di recuperare e distribuire -a chi necessita assistenza di quel tipo- pacchi alimentari da mezzo chilo. Queste cifre riguardano un caso reale, fra i tanti citabili, calcolate su “donazioni” fatte a fronte di acquisti di prodotti (nel caso specifico si tratta di beni non di prima necessità) il cui prezzo al consumatore varia dai circa 8 euro fino a circa 20. Fatte queste premesse, non si può fare a meno di pensare quanto segue: se quei 10 euro li dessi direttamente all’associazione anziché all’azienda (per una cosa di cui, nel caso specifico, potrei anche fare a meno) che poi darà 0.07 euro all’associazione che “distribuisce pasti”, … io da solo avrei consentito la distribuzione non di “1”, ma di “142 pasti”. La stessa manipolazione dei numeri avviene quando il “donatore” (altro esempio reale) dichiara di donare “piatti di riso” e non “chili di riso”. La differenza è nei numeri scelti strumentalmente per comunicare al consumatore, indicando in milioni di piatti di riso (che fanno più scena) volumi di fatto ridicoli se parametrati alla dimensione dell’azienda che se ne fa bella. Con un chilo di riso ci fai anche 10 piatti da mensa. E un chilo di riso, all’ingrosso, costa molto meno di 2 euro. Perché allora far apparire i propri gesti più grandi di quello che sono? Dobbiamo forse pensare che anche le glorie della tua azienda siano raccontate con quella logica?

Pietro Greppi

Ethical advisor e fondatore di Scarp de’ tenis

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

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