PAROLE SANTE!

Segue un piccolo estratto da “Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali – Etica nella Pubblicità – Città del Vaticano, 22 febbraio 1997, Festa della Cattedra di San Pietro Apostolo di John P. Foley (Presidente)-Pierfranco Pastore Segretario”. Gli omissis sono dovuti unicamente a questioni di spazio. Lo pubblico perché lo trovo adeguato, utile e coincidente con il mio pur laico pensiero.

 […] Non vi è nulla di intrinsecamente buono o intrinsecamente cattivo nella pubblicità. […] se ne può fare un retto uso o un cattivo uso. […] può avere, […] effetti positivi […] può avere […] un impatto […] dannoso sugli individui e la società. […] «I pubblicitari che reclamizzino prodotti e servizi nocivi o del tutto inutili, che vantino false qualità delle merci in vendita, o che sfruttino le tendenze più basse dell’uomo, danneggiano la società umana e finiscono col perdere essi stessi in credibilità e reputazione. Ma recano pregiudizio alle persone ed alle famiglie anche i pubblicitari che creino bisogni fittizi, […] l’acquisto di beni voluttuari, privando così gli acquirenti dei mezzi per provvedere alle loro necessità primarie. Inoltre occorre che essi evitino gli annunci pubblicitari che spudoratamente sfruttino a scopo di lucro richiami erotico sessuali, o che ricorrano alle tecniche dell’inconscio che attentino alla libertà degli acquirenti». La pubblicità tradisce (inoltre) il suo ruolo di fonte di informazione quando travisa e nasconde fatti pertinenti. […] Il più delle volte […] viene usata tuttavia non solamente per informare, ma per persuadere e stimolare, per convincere le persone ad agire in un certo modo: acquistare certi prodotti o servizi, sostenere certe istituzioni […]. È qui che si possono verificare particolari abusi. La pratica della pubblicità legata alla marca può sollevare seri problemi. […] può tentare di indurre le persone a decidere sulla base di motivi irrazionali (fedeltà alla marca, prestigio, moda, sex appeal, ecc.), invece di illustrare le differenze nella qualità e nel prezzo del prodotto quali basi per una scelta razionale. […] «Non è male desiderare di vivere meglio, ma è sbagliato lo stile di vita che si presume essere migliore, quando è orientato all’avere non all’essere e vuole avere di più non per essere di più, ma per consumare l’esistenza in un godimento fine a se stesso». Talvolta i pubblicitari sostengono che creare bisogni per prodotti e servizi, cioè indurre le persone a sentire e agire in base al forte desiderio di articoli e servizi di cui non hanno bisogno, è una parte del loro compito. «Rivolgendosi direttamente agli istinti dell’uomo, prescindendo, in diverso modo, dalla sua realtà personale cosciente e libera, si possono creare abitudini di consumo e stili di vita oggettivamente illeciti e spesso dannosi per la sua salute fisica e spirituale». Questo […] è ancor più grave quando gli atteggiamenti e i valori consumistici vengono trasmessi, attraverso gli strumenti di comunicazione e la pubblicità, ai paesi in via di sviluppo, dove aggravano le crisi socio-economiche e danneggiano i poveri. «Un uso oculato della pubblicità può stimolare i paesi in via di sviluppo a migliorare il proprio tenore di vita; mentre opererebbe a loro danno una pubblicità ed una pressione commerciale svolta senza discernimento, a spese di paesi che stentano a passare dall’indigenza ad un minimo di benessere; i quali potrebbero persuadersi che il progresso si riduca tutto nel soddisfare bisogni creati artificialmente, e s’indurrebbero perciò a dilapidare in questi la maggior parte delle loro risorse, a scapito dei loro bisogni reali e del progresso autentico». […] È necessario […] evitare «una “idolatria” del mercato» che, avendo come complice la pubblicità, ignora questo fatto cruciale. […] di frequente la pubblicità tende a configurare […] certi gruppi, ponendoli in condizioni di svantaggio rispetto agli altri. Ciò vale spesso per la maniera in cui la pubblicità tratta le donne; il loro sfruttamento nella pubblicità è un abuso frequente e deplorevole. «[…] le vediamo trattate non come persone con una dignità inviolabile, ma come oggetti destinati a soddisfare il desiderio di piacere o di potere di altri …] vediamo sottovalutato e perfino ridicolizzato il ruolo della donna come moglie e madre […] il ruolo della donna nel lavoro o nella vita professionale viene dipinto come una caricatura dell’uomo con il rifiuto delle qualità specifiche dell’intuito femminile, la compassione e la comprensione, contributo essenziale alla “civiltà dell’amore”».

Pietro Greppi

Ethical advisor e fondatore di Scarp de’ tenis

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *