ESSERE O NON ESSERE UGUALI? È QUESTO IL DILEMMA?

È un dilemma decidere se essere uguali o no? Se lo fosse si potrebbe risolvere abbastanza semplicemente, se ci fossero in circolazione coerenza, consapevolezza e determinazione … quelle vere. Ma ora mi riferisco soprattutto al comparto della comunicazione commerciale e al suo modo di far apparire le cose di cui si occupa, che è sempre meno chiaro quando, quanto, in che cosa e se … il “suo” pensiero creativo e la relativa messa in pratica meritino l’aggettivo “diverso”. Il sistema risulta alquanto instabile e oggettivamente affetto da una sorta di “dissonanza cognitiva di sistema”, quella che si manifesta quando non un singolo individuo, ma addirittura una comunità, “pensa” una cosa e ne “fa” un’altra in contrasto con il suo stesso “pensiero”. E con il termine sistema, intendo riferirmi ovviamente alle persone del comparto della comunicazione viste nel loro insieme e in ogni variante e specificità professionale. Quando ti dipingi come “sistema creativo al servizio delle imprese” dovrebbe conseguirne che tutti i tuoi componenti dovrebbero dimostrarsi inclini alla ricerca della diversità dimostrandola nei fatti. Se non altro perché la diversità si nota e può tornare utile agli scopi di chi, in un contesto affollato di messaggi, desideri comprensibilmente farsi appunto notare. Cercare la diversità ti apre anche a leggere con occhi più aperti e ad uscire dalla tua zona confortevole. “Essere uguali” è invece una modalità più rassicurante e poco impegnativa che però appiattisce e impedisce la scoperta, la ricerca e la capacità di assumere una personalità precisa e distinguibile. È la diversità di pensiero che genera la diversità di azione e, in un sistema oggettivamente popolato da “uguali”, potrebbe bastar poco per stabilire un segnale di cambiamento … ma presuppone che il pensiero diverso ci sia. La diversità la riconosciamo “al volo” proprio perché non è conforme e, a parte quella intesa nel contesto sociale della convivenza fra individui e comunità, se c’è un ambito dove non solo dovrebbe essere accolta e stimolata, ma anche ricercata e richiesta “a pagamento” … è proprio il mondo della pubblicità. E cosa sia successo al settore che si è invece così appiattito e svuotato è più facile da spiegare solo osservandolo dall’esterno, perché a chi “è dentro” appare solo e sempre ok. “Mai chiedere all’oste se il suo vino è buono, sei tu che devi avere un palato esercitato a riconoscere le diversità”. Tutto dev’essere cominciato con la produzione dei manuali e dei corsi tenuti nelle scuole o nelle stesse agenzie. Nel mondo in cui la ripetizione è la caratteristica più evidente del tentativo di persuadere il proprio pubblico, un giorno si è pensato che se la ripetizione di un messaggio “funziona più del messaggio in sé” allora è lecito applicare l’equazione che “il ripetere” sia funzionale all’assimilazione del modello “vincente” utilizzato per produrre il messaggio. Semplificando: ti va bene una volta, da quel momento diventi un modello di riferimento da fotocopiare. Ed ecco spiegata la mancanza di diversità e originalità della comunicazione commerciale che “si riproduce per talea”. Avendo in sé il germe dell’omologazione dei comportamenti come passe-partout per ottenere il “successo commerciale”, nell’intento di omologare il suo pubblico (spesso riuscendoci) ha omologato se stessa, confermandosi un sistema che si contraddice professando la creatività, come indice di diversità, ma senza dare prova di cambiare neppure dopo quanto accaduto a causa del Covid. Situazione che nonostante rappresenti un’opportunità epocale per cambiare, appena la morsa dell’immobilità si è allentata … ecco ripartire tutti con sconti, promesse ipocrite e improbabili di vicinanza, filmati fotocopia “per ripartire” e abbinamenti impresentabili, come quelli, ad esempio, di automobili proposte come “compagne complici” di un’idea di ripartenza. Uguali a sempre in sostanza, pur dicendo di essere diversi, dimostrando l’immaturità di un sistema che non ha ancora assunto il coraggio di fare i conti con la credibilità di tutte le sue “affermazioni etiche” che restano affermazioni uguali a tante altre. Dichiararsi diversi, pur restando uguali. Che sia un’altra moda?

Pietro Greppi

ethical advisor e fondatore di Scarp de tenis

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

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