BUONE FESTE?

Anche a Natale, come durante le feste comandate o di tradizione, profit e non profit comunicano accavallandosi, incrociandosi e alternandosi nella pubblicità, cercando entrambe e contemporaneamente di smuovere “i nostri sentimenti”.

 

A volte lo fanno tenendosi a braccetto, ognuno per un comprensibile (fino ad un certo punto) opportunismo, ma ognuno per i propri opposti scopi, dando evidenza ad eventi particolarmente disturbanti per come vengono messi in atto: accade cioè che l’ipocrisia sentimentale del profit e le speranze del non profit si uniscano a fin di bene(?), ma creando nei fatti la “confusione dei sentimenti”. E tutto questo in una società che della confusione dei sentimenti è particolarmente “ricca”. Questi intrecci sarebbero anche definibili come “buone intenzioni”, se non fosse che diventano brutti da vedere e da sentire a causa del fatto che le due culture vengono messe insieme brutalmente e con forzature evidenti. Quando non sono insieme invece, fai ormai fatica a cogliere le vere differenze fra i due mondi.

Quelli delle “feste” sono alla fine i momenti in cui si evidenziano i segnali più chiari che, chi vive il non profit, è purtroppo vittima di un sistema che omologa (anche) il modo di comunicare, rendendo tutta la cosiddetta “call to action” fin troppo prevedibile e svuotata di senso, avendo ormai perso ogni dignità dei “comportamenti nella comunicazione”.

Le rare eccezioni non sono certo sufficienti a smentire questa osservazione, né a rendere immediatamente comprensibile perché questo accada.

 

Perché il terzo settore usa gli stessi percorsi, linguaggi e metodi del profit?

Perché riduce sé stesso a lamentoso, ripetitivo e piagnucolante questuante, dedicando troppo poco spazio ai contenuti che lo attraversano e che lo renderebbero più autorevole anche nei confronti dei Governi più sordi?

Perché si abbassa sistematicamente ad accontentarsi di una intermediazione derivante dalla vendita di inutili (oggettivamente) oggetti personalizzati “a catalogo”?

Perché anche “lui” sente il bisogno di rendersi credibile usando dei testimonial?

Perché è così accanito a giocare un ruolo di effettiva utilità pubblica, se poi consente al suo interno costanti e accese diatribe prodotte dalla concorrenza fra associazioni fotocopia o dal fatto che ogni singola sigla diventa, nei fatti, concorrente di ogni altra nella richiesta di sostegno?

 

Probabilmente tutto questo, e molto altro di francamente imbarazzante, succede perché sentendo l’esigenza di far conoscere le proprie esigenze ad un vasto pubblico, anni fa “il non profit” pensò di rivolgersi un po’ alla volta a chi usa quotidianamente la comunicazione commerciale per farsi “aiutare”. O forse perché il sistema delle agenzie e dei professionisti, ad un certo punto si accorse di quella “nicchia” di mercato potenziale che, pur essendo definita “non profit” nei fatti può generare anche importanti, ma inopportuni, profitti e medaglie per chi lo affianca “sedicendosi” professionista.

Una prossimità che ha motivato e generato il passaggio di molti pubblicitari al servizio del terzo settore, che troppo spesso si sono purtroppo rivelati professionalmente inadeguati a quello scopo. Cosa che si è manifestata con la frequente evidenza dell’adozione di soluzioni mutuate dal profit e invadendo anche quel settore con l’insopportabile e dannosa cultura che trasforma tutto in merce. Anche i sentimenti. Buon Natale.

 

Pietro Greppi

Ethical advisor e fondatore di Scarp de’ tenis

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

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