L’ABITO DEL MONACO.

Consuetudini, abitudini, moda, omologazione, … sono alcune descrizioni di come le persone scelgono di conformarsi alla società in cui vivono … Il singolo che sceglie di adeguarsi all’ambito più simile a sé, lo fa in modo più o meno irrazionale, più spesso per pigrizia, perché se fosse razionale ragionerebbe “di testa sua” e sarebbe più consapevole. Quando l’individuo non trova somiglianze intorno a sé, si manifesta il suo disagio, in vari modi, a volte anche tragici. Sentirsi adeguati, accettati, omologati, parte di un gruppo più o meno vasto, esprimersi tramite segnali visivi o verbali riconoscibili da altri o anche solo per sé, sono tutte forme di comunicazione fra il singolo e ciò che è esterno al suo essere individuale. C’è chi i modelli li propone, chi li fa suoi e anche chi li accoglie nella propria libreria di esperienze senza farsene attraversare … esistono metaforicamente tanti diversi “abiti per fare un monaco” che sono poi quegli abiti, sia metaforici che fisici, che segnalano convenzionalmente ciò che una comunità conviene di celebrare in un determinato modo. Chi per primo lancia un segnale per rendersi diverso, per rompere con le consuetudini che lo circondano, avrà certo qualche seguito e, di conseguenza, darà il via ad un’ennesima formula espressiva destinata a diventare consuetudine fra coloro che l’hanno fatta propria. Il nostro mondo, oltre alle lingue parlate, è popolato quindi da una Babele di linguaggi che si manifestano in consuetudini le cui origini possono essere remote o recenti.

Il noto “esperimento delle scimmie e le banane” (seppur inventato) descrive metaforicamente gli effetti dei condizionamenti prodotti dalla convivenza fra individui della stessa specie. Si tendono a fare scelte condivise, a volte senza neppure chiedersi che origine hanno, perché ci è sufficiente sentirci adeguati. Un comportamento che ci evita “la fatica” di costruirci un pensiero autonomo e toglie di mezzo la preoccupazione per “ciò che penseranno gli altri”. Se fai parte, o entri a far parte, di un gruppo costituitosi su regole e comportamenti condivisi (in quel gruppo ovviamente) ti senti meno fragile e più forte allo stesso tempo perché ogni gruppo cristallizza modelli e regole interne di riferimento. E il branco, che è un gruppo “temporaneo”, esaspera e concretizza l’intimo orientamento dei singoli che lo compongono, che da soli non riuscirebbero ad esprimere quel genere di comportamento che il branco gli consente e addirittura alimenta e amplifica.

Il nostro pensiero cambia però in continuazione in funzione degli stimoli che riceviamo, e questo influisce in ciò che l’individuo è portato a credere e a fare. Le conversioni religiose ne sono un esempio e portano spesso a rappresentare il pensiero che le pervade tramite esteriorità e comportamenti diversi da quelli precedenti “la conversione”. Siamo, senza dubbio alcuno, esseri programmati per essere programmabili all’infinito e condizionabili come tanti cani di Pavlov.

È l’uso di tali applicazioni del condizionamento, declinate in versione commerciale, che riesce ad incidere su menti manipolabili più di altre, definendo quello che siamo abituati a descrivere come il “successo di un prodotto”. Ed è un problema sociale che si viene a creare quando un individuo più attrezzato e diversamente “programmato” ne condiziona consapevolmente altri “riprogrammandoli” a piacimento.

Questo tipo di effetti (come per il cane di Pavlov) sono abbastanza facilmente ottenibili -soprattutto se i soggetti cui sono destinati sono “poco attrezzati”- attraverso la ripetizione e la pervasività di messaggi che abbiano questo orientamento e scopo. E la pubblicità fa esattamente questo.

La scientificità delle tecniche della comunicazione commerciale può arrivare a toccare particolari vertici di precisione. Ma questo non lo considererei come un bene, dato che per vendere qualsiasi cosa è sufficiente trovare una crepa nell’individuo e convincerlo che quella cosa la riparerà … e che farlo è diverso dal saperlo fare. Vendere un abito asserendo che quello ti trasformerà in un monaco dimostra solo che non si ha rispetto per l’altro e che lo si considera un imbecille.

 

Pietro Greppi

Ethical advisor e fondatore di Scarp de’ tenis

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *