SE LO FANNO, QUASI NON NE PARLANO. PERCHÉ?

 

 

Da tempo invito le aziende e le loro agenzie a prendere in considerazione l’idea di dirottare gli investimenti utilizzati in comunicazione classica, almeno in parte, verso attività che lascino invece un segno concreto per le persone sul territorio … quelle persone che potrebbero essere o diventare i loro clienti. La mia è una posizione che, ad uno sguardo miope, conservatore e prevenuto, potrebbe apparire come radicata in una contestazione del sistema della comunicazione commerciale .. e per certi versi lo è. Ma il mio intento non è la demolizione, bensì la correzione e il miglioramento di un sistema che spende, ma soprattutto spande (nel senso di perdita) gli investimenti delle imprese. E la cosa strana è che non sembra esserci la consapevolezza di quanto avviene nei fatti a cura di un sistema che non incrementa, quanto potrebbe, il benessere di coloro che vengono definiti banalmente consumatori, ma che sono invece l’anello determinante la forza di una società, perché se quell’anello risulta debole, anche in senso lato, lo è di fatto tutta la società. Quella società fatta di persone, non di attori, che tu azienda vorresti si affezionasse a te e al tuo prodotto. E per rincorrere questo desiderio cosa fai? Se “tu” (azienda) intendi utilizzare risorse in modo che le persone si ricordino di te e con il fine ultimo che di te si ricordino quando sentono la necessità di comprare il prodotto che tu provvedi a distribuire … se il tuo intento è quello (e lo è!), per quale motivo insisti a usare le tue risorse, economiche e mentali, per commissionare storielle di 30 secondi destinate a consentire alle persone di andare a fare pipì o a lavare i piatti approfittando dell’interruzione del programma che oltretutto tu contribuisci a pagare? Ti accorgi o no che c’è qualcosa che non va in questa intentata relazione di causa/effetto? Penso di no! Altrimenti faresti qualcosa di diverso.

Nell’advertising classico si insiste infatti a investire somme enormi, gestendole pure male, per l’abitudine a farlo e per l’abitudine, quasi meccanica, di costruire periodicamente messaggi sedicenti pubblicitari, ma che sono ormai solo lo specchio dell’ego di qualche gruppo di creativi. Come si trattasse di un modello immutabile, da replicare fino a che c’è ancora qualcuno disposto a finanziare questo teatro dell’assurdo. Eppure, periodicamente, le aziende un segnale lo danno, e fanno qualcosa di strano se osservato con razionalità: come se intimamente si rendessero conto che l’investimento “appena fatto” non era così efficace, indicono gare -o incaricano l’agenzia già presente- per inventare una qualche “nuova storiella” che accompagni il prodotto verso la mente del “consumatore”. Tentativi. Che restano tentativi. Ripetuti come un’ossessione, che poi chiamiamo pubblicità, senza neppure crederci più di tanto. La gente, le persone, i consumatori (almeno quelli meno annebbiati) ormai dicono “è solo pubblicità”. È un segnale o no?! Certo che lo è. Ho semplificato molto, ma farlo serve per osservare le cose per quel che sono, togliendo da davanti agli occhi i fronzoli e le sovrastrutture che non fanno altro che inebetire, distrarre e confondere coloro che ripetono a ciclo continuo questo meccanismo perverso e dannoso sia per l’economia di chi ci investe, sia per gli effetti collaterali provocati nel pubblico raggiunto da messaggi gonfi di modelli artificiali, innaturali e spesso anche deprecabili e inutili.

Serve forse un guru per affermare con successo che per un’azienda è più efficace, utile, qualificante e “fidelizzante” di un fugace spot sostenere i costi di installazione anche di una sola panchina in un parco (un esempio solo per capirci) comunicandolo anche e lasciando quindi sul territorio tracce tangibili del proprio impegno con la stessa convinzione ed entusiasmo con cui si comunica un qualunque prodotto? Serve un guru per farlo capire? Dovrebbe bastare il buonsenso. Poi capita che scorri quanto circola nei media per gli addetti ai lavori della comunicazione, che quindi incroci solo se sei un addetto ai lavori … e trovi notizie, anche di una certa rilevanza, che descrivono attività “benefiche” o socialmente utili delle stesse imprese che occupano spazio per dire sciocchezze in merito al proprio prodotto. Scopri insomma che attività che farebbero notizia e che renderebbero le persone attente, felici, soddisfatte, riconoscenti, … non arrivano al pubblico pur riguardando attività che le aziende svolgono e che meriterebbero di essere comunicate ma non vengono veicolate con la stessa energia e convinzione di uno spot. Perché?

ogni azienda, esiste per il fatto che ci sono persone che la popolano e che la rendono viva,attiva operativa produttiva … nel bene e nel male … facendo notare ogni cosa migliorabile magari regalo pensieri che altri si fanno pagare, ma se li dovessero assorbire anche solo in parte allora il mio “regalo” diventerebbe un regalo a tutti i clienti di quell’azienda… il mio professionismo punta a far attecchire l’idea che ogni azienda deve puntare a valere più del suo bilancio … e per farlo sonodisposto a fare tanti regali… prima o poi qualcuno ricambierà.

 

Pietro Greppi

Ethical advisor e fondatore di Scarp de’ tenis

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

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