UN PO’ CI BAGNIAMO SEMPRE

Mi ripeterò, perché anche la mia è una campagna. L’etica, nel mondo della pubblicità e della comunicazione in genere, dovrebbe indurre un atteggiamento responsabile nello svolgimento della professione di chi produce i contenuti trasmessi dai mezzi di comunicazione. In particolare del pubblicitario, che rispetto al passato ha a disposizione un maggior numero di strumenti sempre più precisi e sofisticati. Nel suo lavoro la potenza della retorica si somma alla forza delle immagini. E anche se ognuno di noi può cambiare canale, voltare pagina o distogliere lo sguardo, la nostra capacità di ripararci dalla comunicazione pubblicitaria è pari a quella che abbiamo quando usiamo l’ombrello contro la pioggia: un po’ ci bagniamo sempre. Il risultato del lavoro del pubblicitario, una volta messo in circolazione, esercita una forte pressione sul pubblico, condizionandone i comportamenti. È inevitabile. E da questa pressione si sviluppano sempre, ma proprio sempre, i famosi effetti collaterali. Ogni campagna ne produce, e l’insieme delle campagne ne produce una quantità incontrollabile che si sommano dando luogo ad una forma di “mala-educazione” involontaria e/o inconsapevole. Possiamo affermare che la pubblicità non è la causa di tutti i mali, ma è necessario anche affermare che alcune responsabilità le ha, soprattutto a causa dello spazio che occupa. In tutte le sue espressioni possibili è, volente o nolente, uno strumento di divulgazione di contenuti, di valori e di modelli … e quindi partecipa alla formazione di una cultura di massa. Ogni parola, ogni immagine di una campagna (compresi i redazionali o le “pubblicità tele-giornalistiche” mascherate da notizie) sono pensate e programmate in modo da essere “percepite” il più spesso possibile o nei momenti di maggior attenzione, e quando si tratta di tv e radio questa ripetizione avviene per decine di volte al giorno per mesi (a volte per anni) raggiungendo milioni di persone contemporaneamente. La formazione degli individui, che nella nostra società passa attraverso la scuola, la famiglia e la vita sociale, fa i conti anche con il grande potere formativo che di fatto ha assunto la pubblicità, grazie alla sua capacità di essere presente ovunque e di rendersi credibile. Anche il governo è consapevole di questa forza della pubblicità, e lo dimostra utilizzandola nelle campagne elettorali e per scopi istituzionali, affannandosi anche per imporre tempi di esposizione paritetici fra coloro che illustrano i propri punti di vista proprio per bilanciarne gli effetti. Come accadeva per le immagini sacre nel Medioevo per quanto concerne la percezione di una certa religione, anche il pubblicitario usa tipi e li trasforma in stereotipi attraverso l’uso della ripetitività. E questi stereotipi finiscono con lo stabilire falsi “tipi” di riferimento per la mancanza, o una debole presenza, di alternative di contrasto. Se molti bambini credono a Babbo Natale e molti pare siano anche convinti che in paradiso si beva molto caffè (da una ricerca del 2005) qualcosa vorrà dire. La questione è che almeno Babbo Natale è sì una convenzione sociale di natura “anche” commerciale, sulla quale però l’intera società è alleata nel fornire, per tempo, la verità al bambino. Ad evitare che, fra gli effetti collaterali, quelli negativi possano incidere negativamente sulla società, tutti i pubblicitari e i comunicatori di ogni ordine e grado dovrebbero assumere la responsabilità di riflettere seriamente sull’etica dei loro messaggi prima di produrli e prima di metterli in circolazione. Si dovrebbe agire affinchè la “lettura” della pubblicità diventasse materia di insegnamento, per fornire adeguati “anticorpi” ai nostri piccoli. Le aziende dovrebbero fare preventive verifiche di eticità della loro comunicazione, considerando che il pubblico ripaga il rispetto con cui viene trattato. Ma le persone che lavorano oggi in pubblicità sono sufficientemente consapevoli dell’effetto collaterale che può produrre il loro lavoro? Sono in grado di lavorare con autodisciplina senza che si debba ricorrere a regole scritte? Dovremmo tutti impegnarci maggiormente per meritarci la fiducia di chi è raggiunto dai contenuti che produciamo e divulghiamo.

Pietro Greppi

Ethical advisor e fondatore di Scarp de’ tenis

Fondatore del Laboratorio per la realizzazione del Linguaggio universale non verbale

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

Pietro-Greppi-211x300

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *