IAB Seminar 2016: video advertising a +30% entro la fine del 2016

È tornato l’appuntamento con IAB Seminar. Al MiCo – Milano Congressi si è alzato il sipario sull’evento “Video Advertising: tra storytelling, creatività e innovazione”, attraverso cui gli esperti del settore (Google, Facebook, Sky, AOL, Teads, Samsung, Spotify, Triboo Media, Mosaicoon e tanti altri) hanno dimostrato ai 1.200 presenti in sala come questo sia un settore in fortissima crescita, da utilizzare però con attenzione, competenza e strategia. Una fucina di opportunità per la industry che prospetta un’impennata superiore al +30% per il 2016. Gli utenti online si confermano stabilmente in crescita (+9% in due anni e +24% su mobile, Audiweb) e interessati ai contenuti video. «Il video advertising, che nel 2015 valeva 364 milioni di euro e il 21% di peso sul totale investimenti con un incremento del 25% rispetto all’anno precedente, chiuderà quest’anno con una crescita ancora più incisiva, che potrebbe superare il +30% rispetto al 2015 e che rappresenterà un quarto del totale advertising online – ha dichiarato Carlo Noseda, presidente di IAB Italia. – Come di consueto, le stime saranno presentate allo IAB Forum (29 e 30 novembre) ma ci sembrava significativo anticipare questi dati oggi qui, sulla scia del grande successo di questo ultimo seminar del 2016, anno particolarmente significativo per la Industry e per la nostra associazione». Ma anche i contenuti televisivi crescono a ritmi elevatissimi su mobile (+40% nell’ultimo anno): la fruizione di video avviene ormai per il 77% (+24.5% rispetto allo scorso anno) da dispositivi mobili. Questo, ovviamente, costringe gli operatori a pensare alle proprie strategie in ottica “mobile first”, creando quella brand awareness che oggi influenza anche la valutazione dei KPI. Indagate anche le modalità con le quali gli operatori stanno adottando il video advertising. Il valore del mercato digitale in Europa nel 2015 è pari a 36.4 miliardi (per la prima volta battuto il mercato tv). Si è messo in luce, insomma, come il video advertising sia già largamente conosciuto e usato (90% degli operatori). Ciò nonostante, in Italia solo il 18% dei publisher riconosce di avere meno del 20% di video advertising. Evidentemente va ancora sperimentata la reale forza di una frontiera in espansione progressiva. Temi caldi, che hanno preso corpo grazie al dibattito tra alcuni colossi dell’Infotainment. «Tutto quello che facciamo è creare valore e contenuti positivi per le industry – afferma Paola Marazzini, director of agency and strategic clients Google Italia. – YouTube, grazie alle tante targetizzazioni possibili, permette di fare show, quindi business». Un chiaro segno di come, prima degli utenti finali, abbiano dovuto lavorarci su prima i grandi dei big data. «Da quando negli ultimi due anni abbiamo capito il potenziale reale dei video adv, le views si sono moltiplicate per otto – racconta Sylvain Querné, head of marketing Facebook. – Il trend è fortissimo e aumenta in modo esponenziale. Ognuno dei prossimi cinque anni sarà etichettato come l’ “anno del video”. Per questo siamo passati da mobile first a piattaforma video first». Sembra tutto piuttosto semplice: la fruizione video cresce a dismisura, quindi l’operatore punta tutto sui contenuti di qualità per attirare più facilmente l’utente. Ma le medaglie hanno sempre due facce. «Fatto 100 il numero dei dati internet chiesti dall’utente, 40 è rappresentato dal video che, in brevissimo tempo, arriverà a pesare il 60 – spiega Davide Mondo, a.d. Mediamond. – Oggi, però, manca un’offerta variegata e qualitativa come ogni utente si aspetta e per questo motivo qualità/tempo speso sul prodotto è un binomio sempre molto ricercato. Più l’aspetto qualitativo è rilevante, più è facile che l’utente arrivi a fruire del contenuto offerto». Dinamiche che chiamano in causa anche un broadcaster per eccellenza come Sky, tra i primi in Europa a sperimentare e studiare la ricetta perfetta che valorizza i contenuti, dotandoli di una chiave vincente: la qualità. «Che però costa tanto ed è difficile da garantire – sottolinea Aldo Agostinelli, chief digital officer della media company. – Molto spesso in Italia c’è squilibrio laddove ci sono aziende che non pagano le tasse e altre che le pagano tutte. Sky ha scelto di fare il suo ingresso nel digitale con l’obiettivo di monetizzare e garantire sempre prodotti premium quality». Parola d’ordine: digital. E il nodo è (momentaneamente) risolto. Così gli operatori potranno gestire i costi dei prodotti di qualità, generando quanto più contenuti di valore possibili per gli utenti da contattare.

 Alessandro Rimi

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