Protagonista è la borsa o la cucina?

Fiammetta Malagoli_bustoBottega Veneta si è rivolta al Giurì di Autodisciplina, lamentando che Veneta Cucine aveva reso protagonista del proprio spot la sua nota borsa Cabat, la borsa di pelle intrecciata artigianalmente, a forma di shopper, utilizzata anche dalle star.

Nello spot contestato, qui narrato in estrema sintesi, una giovane donna entra a casa, si libera del cappotto e posa la borsa, dalla quale estrae il telefono per ordinare sushi; poi, si ricorda della sua bella cucina e riunisce un gruppo di amici per trascorrere allegramente la serata.

Secondo la società ricorrente, la presenza della borsa sarebbe stata ingiustificata nel contesto narrativo e le riprese avrebbero indugiato lungamente sull’accessorio, per legare alla notorietà di Bottega Veneta e al suo posizionamento anche la produzione di cucine, quasi vi fosse un legame tra le due società, magari anche invogliato dall’assonanza delle loro denominazioni. Riteneva, pertanto, violato il secondo comma dell’art. 13 del Codice di Autodisciplina, che vieta lo sfruttamento del nome, del marchio, della notorietà altrui, al fine di trarre per sé un ingiustificato profitto.

Veneta Cucine, invece, ha sostenuto l’assoluta secondarietà dell’accessorio rispetto allo sviluppo della breve storia. La borsa, come gli abiti della ragazza, nonché il suo cellulare, contribuiscono a contestualizzare la vicenda, imperniata però essenzialmente sulla bellezza della cucina e sulla sua funzionalità.

Il Giurì si è domandato se il pubblico abbia in effetti percepito nella borsa della ragazza il catalizzatore di notorietà legato al marchio Bottega Veneta, notorietà che, per costituire una violazione autodisciplinarmente rilevante, deve essere stata sfruttata da chi non ne aveva diritto. Secondo il Giurì tale prova non sarebbe stata fornita dalla società ricorrente. Inoltre ha osservato che la borsa non aveva svolto un ruolo da protagonista nello spot contestato, essendo entrata in scena indossata dalla ragazza, come normalmente avviene con un accessorio di quel tipo, per di più rimasto nella zona d’ombra. La Cabat sarebbe stata ritratta in primo piano per un tempo molto breve, nel quale, comunque, il pubblico stava seguendo la gestualità della ragazza. Infine ne sarebbe stato ripreso solo il bordo superiore, per di più sfocato. In questo contesto, il Giurì ha escluso che la borsa potesse essere percepita come un emblema aziendale altrui.

Nell’insieme narrativo, la Cabat avrebbe poi rivestito un semplice ruolo di costruzione della storia, e questo insieme ad una serie di altri elementi che componevano l’ambiente, non diversamente dai mobili e dalle suppellettili presenti nella scena, comunque senza alcun compiacimento. La giovane donna ha svolto una serie di azioni: ha posato le chiavi nello svuotatasche, ha lasciato il cappotto, ha posato la borsa, sedendosi in poltrona. Nella seconda parte dello spot, quella che si svolge in cucina, poi, la borsa non è mai comparsa e lo stacco tra le due scene è costituito dal telefonino, che la ragazza maneggia, meditando sul prosieguo della serata.

Per tutte le considerazioni sopra esposte, il Giurì ha ritenuto che lo spot non si ponesse in contrasto con l’art. 13 del Codice di Autodisciplina.

Fiammetta Malagoli

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