Privacy e Panni Sporchi

ZERBINI_bustoLa donna, inginocchiata sul piano inclinato dello squero che affaccia sul Rio di San Trovaso, nel punto dove questo s’incrocia con Rio de San Barnaba, stava facendo il suo bucato. Lavava e canticchiava: “El xe un tango galeoto, lù de sora e mi de soto…” Quando la donna avvertì la mia presenza, di passaggio sull’altra sponda del canale, smise di sbattere il panno fradicio sulla pietra e mi apostrofò in malo modo: “Coss’el ga da ascoltar, sporcaciòn?” Non posso garantire la corretta traslitterazione della fonetica, ma vi assicuro che con quella domanda veemente la signora intendeva rivendicare il suo diritto alla privatezza.

Questo episodio risalente a qualche anno fa mi è tornato in mente scorrendo i post apparsi su Facebook durante le feste di Natale e capodanno. L’impressione che ho tratto, osservando le inserzioni nel loro insieme, è stata quella di trovarmi a sfogliare le pagine del “diario intimo” di alcune centinaia di persone; di guardare le immagini e le annotazioni private che una mano imprevidente aveva sparpagliato nella rete mettendole a disposizione di tutti gli involontari voyeur di passaggio. Confesso di essermi sentito a disagio, come se da un momento all’altro un coro di voci adirate si fosse potuto levare per disapprovare la mia inopportuna intromissione nelle faccende altrui.

“Coss’el ga da guardar, curiosòn?”. Già, come mi permettevo io, intruso nell’intimità di tutte quelle persone, di sbirciare le foto del loro piatto di antipasti misti?, della loro terrina di tortellini in brodo?, del loro zampone con contorno di lenticchie?, dei loro bimbetti intenti a scoprire i regali?, del tappo che schizza dal collo della bottiglia, ripresa in close-up per mostrare la marca del loro champagne?, del pupazzo vestito da babbo Natale appeso al tubo della loro grondaia? Quale istinto perverso mi spingeva a contravvenire a quella legge dello Stato che garantisce la tutela della privacy di ogni cittadino?

E’ stato a quel punto che mi è tornata in mente la lavandaia di Venezia, che lavava in pubblico i suoi panni sporchi intonando canzonette hard. Senza saperlo quella signora aveva anticipato una patologia che, grazie all’avvento dei social network, si è diffusa in misura abnorme e si manifesta con sintomi che vanno dalla perdita del pudore al venir meno del comune senso del ridicolo. Per evitare che la patologia assuma dimensioni di pandemia sarebbe utile aggiornare la legge sulla privacy, introducendo nel testo una serie di norme atte a dissuadere tutti gli esibizionisti che sciorinano sullo schermo del mio computer le foto della loro biancheria intima.

Bruno Zerbini

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