Bomboleros
L’hanno detto alla televisione: Milano è la città più “graffitata” d’Europa. La voce fuori campo che ha letto la notizia non ha rivelato l’identità degli autori dello studio comparativo, e neppure il metodo utilizzato per la rilevazione dei dati necessari a stilare l’estemporanea classifica.
Ma se l’audio del servizio trasmesso nel telegiornale ha fornito poche, generiche informazioni, le immagini sono state invece straordinariamente eloquenti. Per oltre cinque minuti, un’incalzante sequenza di inquadrature girate nel centro storico e nei vecchi rioni della città, nei quartieri residenziali, nelle stazioni ferroviarie e della metropolitana, nei depositi dei tram e degli autobus, nei sottopassaggi e sui cavalcavia, ha catturato la mia attenzione.
Era come vedere una lunga panoramica descrittiva di un paesaggio urbano dove molte centinaia di “ Writers” e “Bomboleros”, calati da ogni angolo del Vecchio Continente, avevano trovato lo sfondo più adatto alle loro provocatorie esibizioni.
Ogni muro, facciata, portone, saracinesca, cornicione, edicola, staccionata, cassonetto dei rifiuti, palo della luce, targa stradale, recava i segni, le figure e i simboli criptici decodificabili solo dagli adepti. Secondo gli autori del servizio gli anonimi grafomani d’Oltralpe organizzano vere e proprie spedizioni, con gli zaini pieni di bombolette spray, per venire ad imbrattare Milano.
“E questa non è una bella cosa”, mi sono detto alla fine del telegiornale. “Prima o poi qualcuno dovrà pur trovare un modo, non necessariamente cruento, per convincere la setta dei “Bomboleros” a scegliere altre mete per le loro acrobatiche performance”.
A questo punto però mi sono ricordato che, quando mi si presentò l’occasione di fare allora ciò che oggi invito altri a fare, io mi sono testardamente rifiutato di farlo. La faccenda andò più o meno cosi. Correva l’anno 1998, Alberto Contri, già allora presidente di Pubblicità Progresso, mi chiese di realizzare una campagna di sensibilizzazione per arginare il fenomeno del graffitismo urbano.
Il tema però non mi convinceva. Ritenevo che non tutto ciò che compariva nottetempo sui muri ciechi di certi casermoni anonimi fosse roba da buttare, anzi. Inoltre, non era giusto accanirsi contro i giovani aspiranti a diventare i Siqueiros e i Basquiat di casa nostra solo perché erano immaturi e un po’ pasticcioni.
Lo dissi ad Alberto Contri che condivise le mie obiezioni e decise per un altro tema: “Promuovere l’utilizzo del computer e lo studio dell’inglese”. La campagna di Pubblicità Progresso del ’99 usci con l’headline “Chi sarà lo scemo del villaggio globale?” e, visto come sono andate le cose, si può dire che centrò l’obiettivo.
La realizzai con il prezioso contributo di Giorgio Tramontini e Juma Jannelli i quali, leggendo questo testo, penseranno che, in quanto a contraddizioni, non mi batte nessuno.
Bruno Zerbini
brunozerbini23@gmail.com